La
politica dei sacrifici e l'economia del debito nel mondo della
formazione.
La politica è il
ricatto finanziario . Ci sentiamo ripetere questa cantilena:
“dovete fare sacrifici!”: l'unilateralità di questo comando
investe la crisi della politica. Il governo della cosa pubblica è
consegnato all'efficientismo gestionale dei tecnici, alle forme della
governance.
Non c'è contrattazione possibile. Il livello del
politico diventa solo il filtro esecutivo di disposizioni
sovraordinate. Emerge con chiarezza l'interesse della finanza e dei
suoi flussi di denaro, come livello del comando su una realtà
sociale e produttiva sempre più impoverita.
La formula applicativa di
questi dispositivi ci è nota ed è quella del modello Marchionne:
i sacrifici vanno fatti perché lo si è deciso, o meglio
l'oggettività imposta delle leggi del mercato lo ha deciso e
pertanto non solo farli è necessario ma è anche giusto; e
tutto questo non può essere oggetto di discussione.
Non a caso
Marchionne afferma “di Monti mi piace tutto”: allo stesso tempo
il Capo del Governo si presenta come tecnico super partes e appare
come modernizzatore del paese nel quadro dei nuovi equilibri del
capitalismo finanziario dentro la crisi.
Assistiamo di fatto al
commissariamento totale di quegli istituti democratici già a lungo
sviliti per i quali ora non ci si preoccupa neanche più di trovare
una qualche legittimità.
Emblematico a riguardo il caso greco, o
forse sarebbe più opportuno parlare di “prospettiva greca”: il
governo Papandreou è costretto a fare una brusca marcia indietro,
dopo essere ricorso alla consultazione referendaria imposta
dall'opposizione sociale.
L'azzardo del referendum, la sola
possibilità di una mediazione consultiva popolare, per i creditori
europei è eccessivo, e Papandreou è sostituito da Lucas Papademos,
ex vice presidente della Banca Centrale Europea, insomma un uomo
maggiormente in sintonia con gli effettivi centri decisionali. Il
ruolo e la figura di Mario Monti di garante degli interessi delle
lobbies finanziarie e bancarie europee, non è dissimile.
Così
vediamo articolarsi in sistema della finanza la gestione politica
della crisi. Ne è dimostrazione il prestito di 530 miliardi erogato
dalla BCE a oltre 400 istituti bancari al tasso agevolato dell'1%.
Una enorme immissione di liquidità nel sistema creditizio che
frutterà ingenti profitti speculativi al capitale finanziario
responsabile della crisi.
Le politiche di austerità (di taglio della
spesa pubblica e soprattutto dei servizi di pubblica utilità) si
saldano con l'obbligo ad indebitarsi sistematicamente come unica
porta di accesso ai servizi e alle garanzie di tutela sociale. Queste
sono le strategie di riorganizzazione del welfare, e non ci sono
lacrime della Fornero che tengano.
Il welfare del debito.
Questi dispositivi di austerità possiamo osservarli operare ancor
più pesantemente sui “non-garantiti”.
Il precariato sociale
diffuso delle generazioni giovani, già a partire dal sistema
formativo – universitario in primo luogo – vede, da un lato
insidiate direttamente le forme classiche di tutela del diritto allo
studio con i tagli ai finanziamenti alle borse (la riduzione degli
alloggi per gli studenti, l'aumento dei prezzi della mensa);
dall'altro lato, vede inasprirsi i criteri di accesso a queste forme
di garanzia con tutta una serie di filtri e blocchi strutturanti lo
stesso percorso formativo: abolizione del valore legale del titolo di
studio, test d'ingresso sempre più selettivi, stages.
A fronte di un
“indebitamento normalizzato” sempre più violento, responsabile
della precarizzazione dell'esistenza e della condizione formativa e
lavorativa, le sirene della politica-fantoccio mirano a far
interiorizzare una propagandata naturalità di queste dinamiche che
alimentano i principi complementari della competitività, del merito
e dell'esclusione.
Ne è un esempio – a mo' di smentita di chi con
fiducia si illudeva che certe formule appartenessero solo al
vocabolario dei bravi della stagione berlusconiana – la
dichiarazione del viceministro al Lavoro e alle Politiche sociali
Michel Martone il quale, promuovendo il proprio modello di successo e
“carriera”, definisce “sfigato” chi si laurea dopo i 28 anni.
Forse per un uomo che non si è mai scontrato con la condizione di un
comune studente-lavoratore, di chi deve affrontare mensilmente le
esose spese di alloggio, di chi non ha una fonte regolare di reddito
in genere, risulta esercizio gradevole cronometrare il proprio
percorso di studi e farsene vanto.
Ma in realtà ciò che sottende a
questo genere di dichiarazioni è che il mercato ha oggi bisogno e
necessità di “produrre” una forza lavoro, materiale ed
intellettuale, da vendere a basso costo, e che sia ricattabile e per
questo senza garanzie.
Ricostruire oggi una forte opposizione
all'impoverimento imposto dalla governance finanziaria e dai
suoi esecutori Monti e company, significa innanzitutto rintracciare
i dispositivi d'indebitamento e conseguentemente decostruire le
corrispondenti retoriche del “merito” e del sacrificio.
La svalutazione delle
nostre capacità. Quindi, non solo ci scontriamo con un nuovo
“welfare del debito” (che si manifesta nella privatizzazione dei
costi della formazione), ma le “politiche dei sacrifici”
comportano anche la svalorizzazione dei percorsi formativi altamente
qualificanti, finalizzati alla riproduzione di quei servizi
collettivi (come sanità, istruzione, servizi sociali) che oggi sono
ulteriormente tagliati.
Infatti, di fronte alla privatizzazione del
welfare, i recenti dati del XIV rapporto Almalaurea non solo
confermano la tendenza al costante aumento della disoccupazione tra i
laureati (dal 16 al 19% per i laureati triennali dal 18 al 20% in un
anno per i laureati anche alla specialistica o magistrale), ma
evidenziano anche il vertiginoso aumento della disoccupazione tra
quei laureati dei corsi di studio a ciclo unico come gli studenti di
medicina (dal 16,5 al 19% in un anno).
Pertanto allo
smantellamento dei servizi pubblici corrisponde specularmente una
svalutazione delle qualifiche formative: in un contesto
concorrenziale di infinito accreditamento di competenze (master,
tirocini, specializzazioni) da spendere nel mercato del lavoro, il
“sistema pubblico” - l'università pubblica nel caso specifico -
si configura esattamente come un'istituzione formativa, un erogatore
di qualifiche, in competizione con altre istituzioni formative e
altri soggetti privati. Insomma, il principio del cosiddetto long
life learning – formazione e “accreditamento” permanente -
ha qui come traduzione immediata quella di essere solo un ulteriore
fattore di precarietà.
A fronte di tutto questo,
in un'ottica di resistenza e di costruzione delle nostre forme
collettive di garanzia sociale, è per noi importante rintracciare i
percorsi concreti del commissariamento delle nostre vite, i
dispositivi concreti di sbarramento e di segmentazione interna dei
percorsi formativi, i meccanismi di indebitamento e di
precarizzazione.
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