CE N'EST QU'UN DEBUT... CONTINUONS LE COMBAT!

lunedì 25 febbraio 2013

Palazzo Ricci. Chiusi i bagni per cacciare i venditori senegalesi!


Dal pomeriggio di venerdì i bagni di tutti i piani di palazzo Ricci sono stati chiusi a chiave per disposizione dell'economato. Per utilizzarli bisogna rivolgersi in portineria presentando un documento che attesti di essere studenti. Questa misura vorrebbe sortire l'effetto di allontanare i venditori ambulanti senegalesi che sostano a Palazzo Ricci trovando ristoro tra macchinette e bagni.

Come giustificare questo "fastidio razzista" per la presenza dei venditori senegalesi? Si sostiene che la fruizione degli spazi universitari è ristretta alla sola utenza studentesca o docente concedendo invece a tutti gli altri solo di "circolare" senza "sostare". Per assicurare che solo studenti e docenti fruiscano degli spazi e dei suoi servizi si aumentano i livelli di controllo.
Ma qui sorge il problema. Chi si occupa di controllare che i venditori senegalesi non sostino a Palazzo Ricci e che i bagni vengano utilizzati solo da studenti e docenti? Abbandonate le strutture di facoltà l'amministrazione degli spazi d'ateneo e del loro funzionamento passa interamente all'economato che scarica questa responsabilità di controllo sulle portinerie.

La portineria di Palazzo Ricci, con un portinaio o una portinaia per turno, dovrebbe occuparsi allo stesso tempo di allontanare i venditori ambulanti e di distribuire le chiavi dei bagni agli studenti che dimostrino la titolarità all'uso. Non solo nessuno di questi compiti rientra nel capitolato d'appalto delle portinerie ma oltretutto la strategia soft scelta dall'economato per "respingere i migranti" - ovvero far terra bruciata attorno a loro chiudendo i bagni - risulta tecnicamente impraticabile: come gestire 3 bagni al terzo piano con una sola chiave di un antibagno? come verificare che i bagni vengono richiusi a chiave dopo il loro utilizzo?

venerdì 22 febbraio 2013

Profumo e i movimenti

altLa discussione sulla bozza di decreto Profumo sulle borse di studio è stata rinviata prima dal 7 al 21 febbraio, poi dal 21 al 28 febbraio, dopo le elezioni. La conferenza stato-regioni ha deciso del rinvio, apportando alcune modifiche al testo ministeriale.
 
Lo stretto orizzonte della “difesa del pubblico”.
Il decreto Profumo è comparso nelle cronache di queste ultime settimane rappresentando l'occasione per sociologi, politici, giornalisti e parti del ceto accademico italiano di “lamentare” la carenza di finanziamenti al mondo dell'istruzione. Tutti si interrogano in modo paternalistico sulle responsabilità dell'aumento della disoccupazione giovanile e del gonfiarsi di una vera e propria bolla formativa in cui una massa crescente di laureati rimane senza occupazione.
Da una diversa angolatura questo “discorso” - tra l'altro espresso benissimo in una recente intervista su Rainews24 dal presidente degli Enti per il Diritto allo studio Marco Moretti - ha dato vita in alcune città d'Italia a diverse iniziative di contestazione di questo decreto, messe in campo dalle Liste del sindacalismo studentesco. Iniziative simboliche e di testimonianza che non hanno puntato sulla partecipazione in prima persona dei soggetti più direttamente sotto attacco – gli attuali beneficiari delle borse di studio – né cercato di ricomporre attorno alla questione “diritto allo studio” le differenti forme della precarietà universitaria e studentesca. Nella maggior parte dei casi questi tentativi si sono risolti in politicismi tra ceti del sindacalismo studentesco e pezzi di partiti politici del centro-sinistra al governo nelle Regioni. Prevedibilmente queste iniziative – prive di qualsiasi rapporto di forza – si sono tradotte in contentini come lo slittamento della discussione dal 21 febbraio al 28, senza assolutamente incidere nella sostanza. C'è stata una rinuncia ad assumere un piano politico ampio della manovra voluta da Profumo, rinchiudendosi nei tatticismi votati a salvare il salvabile: come se, ancora una volta, la posta in gioco fosse solo il cosiddetto “diritto allo studio” e gli strumenti quelli della “democrazia rappresentativa”.