Che fine ha fatto
l'accordo sulla tutela volontaria dei beni culturali?
Sono
quasi tre mesi che è stato firmato in Prefettura uno scellerato
accordo sullo sfruttamento del lavoro volontario – non pagato –
nella tutela dei Beni Culturali e Artistici della città di Pisa,
colpendo un settore che, in un paese come l'Italia, dovrebbe essere
tra le priorità in termini di valorizzazione, tutela e formazione di
professionalità. Già da tempo la formazione nel settore è stata
ridotta ad una farsa: corsi generalisti a causa degli accorpamenti e
nozionismi da eruditi d'altri tempi. Adesso il lavoro stesso viene
ridotto a passatempo per chi può permetterselo.
Giustamente
vi è stato un moto d'indignazione trasversale per il contenuto
(sfruttamento, dequalificazione, umiliazione professionale), la forma
(illegale) e il modo
(pressioni sui firmatari e procedure inconsuete, finanche nella
scelta del luogo: la Prefettura). Una vertenza - apparentemente di
competenza delle associazioni di categoria – si presta a essere
grimaldello sociale utile a scoperchiare il vaso di Pandora
dell'incompatibilità davanti a precarietà e lavoro gratuito.
Si
parla infatti non solo di un accordo,
ma soprattutto di un sistema fatto di
precarietà, sfruttamento, reddito intermittente o non-reddito,
incuria dei beni comuni. Un
sistema che si è insinuato viscidamente nel senso comune – tramite
la grande menzogna «Non
ci sono soldi» - per poi “istituzionalizzarsi” violentemente a
colpi di decreto con il pretesto dell'emergenza (emergenza ormai
permanente e dunque di necessità non reale).
E
allora cosa è successo in questi mesi e perché tutto sembra essersi
fermato? Non c'è una risposta chiara ma una cosa è certa: le parole
d'ordine sono cambiate. Non più reddito
e
dignità
o soddisfazione
professionale,
ma legalità,
compromesso,
compatibilità.
Un pezzo intermedio di governance
– tra associazioni e corpo docente dalla vocazione democratica e
inizialmente firmatario di una lettera di denuncia - si è tuffato a
capofitto nelle pastoie legali e burocratiche. La vertenza è
scivolata nella semplice istanza di “legalizzazione” di un
accordo “fuori dalle regole” senza più contemplare la necessità
di un progetto di opposizione alle tecniche di precarizzazione e
svalorizzazione di professionalità tramite l'imposizione di lavoro
gratuito.
Ma
non basta: si cerca di “mantenere i buoni rapporti”, “non
mettere in imbarazzo nessuno” tra Prefetto e assessori. Così
“l'opposizione” si è fatta stampella della governance,
rimediando
ai suoi sbagli, garantendole lunga vita e prosperità. Naturalmente
la controparte non si è lasciata sfuggire la ghiotta occasione: gli
assessori Danti e Serfogli il 7 maggio con una lettera hanno
rassicurato sul rispetto delle leggi lamentando – come al solito –
che i fondi non bastano (ma evidentemente bastano per il People Mover
e altre piccole grandi opere inutili).
Da
parte nostra sappiamo che è necessaria una presa di parola
collettiva di chi per primo è fatto oggetto di questi accordi: una
nuova forza lavoro in formazione che vede sostituite dal lavoro
volontario le competenze per le quali investe tempo, denaro,
passione. L'accordo sulla tutela dei beni culturali è segnale di una
tendenza di sistema contro la quale costruire primi argini e
rigidità. È proprio di questi giorni il lancio da parte di Renzi
del testo di discussione sulla riforma del terzo settore e della
legislazione sul volontariato. Quest'iniziativa, già annunciata il
12 aprile a Lucca, parte dall'esigenza di programma di fondare una
nuova welfare
society che
“in un quadro
di vincoli di bilancio, dinanzi alle crescenti domande di protezione
sociale, ha bisogno di adottare nuovi modelli di assistenza in cui
l'azione pubblica possa essere affiancata in modo più incisivo dai
soggetti operanti nel privato solidale”. Tradotto
nell'ambito della spesa pubblica riservata alla tutela del patrimonio
storico-artistico ciò significa l'assenza di qualsiasi garanzia di
poter spendere e valorizzare entro i canali pubblici i percorsi
formativi dedicati alla conservazione e tutela del patrimonio
pubblico. Come ci hanno dimostrato i termini dall'accordo di intenti
siglato a Pisa e come il Job Act insegna, l'abbraccio tra capitalismo
e solidarietà auspicato dal rampante fiorentino non è senza prezzo
e vorrebbe anzi stritolare nello sfruttamento del non lavoro una
generazione in formazione.
Anche
per questo... #civediamolundici