Ieri
si è tenuta al campus I Praticelli un'assemblea tra gli alloggiati
nella struttura e i dirigenti del DSU.
La
discussione è stata incentrata soprattutto sui disagi dati dalla
decisione del diritto allo studio di far lasciare la stanza aglistudenti il 24 luglio, anziché il 31, come il bando stabilisce.
Questo per far spazio al progetto TUO, che permette agli studenti
delle scuole superiori di vivere una settimana da “universitari”,
alloggiando e mangiando nelle case dello studente e seguendo lezioni
di orientamento.
Erano
presenti alla discussione il direttore Vicini, la responsabile alle
residenza Beltrami e la responsabile delle residenze pisane Lacerra.
Il dibattito è stato molto acceso, non ci siamo fatti abbindolare
dalle solite retoriche della governance toscana: dobbiamo
collaborare, i nostri interessi sono gli stessi e altre pietose
retoriche...
Come
assemblea di studenti abbiamo subito mostrato insofferenza verso
l'ennesimo abuso del DSU. In questo campus gli studenti dei blocchi
giallo e verde ogni anno devono sgomberare le proprie stanze nel mese
di agosto, per far spazio ai fruitori della foresteria. I proventi,
dice il Vicini, vengono investiti nelle residenze, ma nella realtà
queste letteralmente “cadono a pezzi”.
Sempre
più infastiditi dalle retoriche da “campagna elettorale” abbiamo
ribadito che non andremo via prima del 31 luglio, non collaboreremo
alle politiche di immagine del DSU a nostre spese, rischiando di
perdere la borsa di studio dovendo traslocare in periodo di esami.
Una studentessa accusa “voi mi venite incontro se non faccio i
crediti per mantenere la borsa?! Regalatemene 1, questo è
collaborare!”.
I
millantati rapporti di collaborazione sono stati subito smascherati
per quello che sono: tentativi di scardinare il diritto allo studio
in maniera “partecipata” e “collaborativa”, perché i
regolamenti sono validi solo per gli studenti, mai per i dirigenti.
Il
progetto Tuo viene inserito nelle politiche di marketing del DSU, ma
gli studenti che si iscrivono nell'ateneo pisano pensando di trovare
quello che hanno visto nella settimana di presentazione vengono
delusi. Una studentessa borsista del primo anno chiede “posso
partecipare anch'io al progetto TUO, sono sei mesi che aspetto la
casa dello studente e ancora non l'ho vista”, il direttore Vicini
rimane spiazzato dalla realtà che gli viene sbattuta in faccia, al
di là di retoriche e discorsi collaborativi. “Il contributo
affitto che mi date non copre neanche mezza mensilità, Lei non lo sa
cosa significa pagare un affitto che non ci si può permettere quando
dovresti avere per diritto un alloggio gratuito per poter studiare
tranquillamente”, le risposte sono sempre le stesse da anni:
costruzione della San Cataldo, ristrutturazione Paradisa, apertura di
via Da Buti e Santa Croce in Fossabanda... ma i borsisti in attesa
devono sempre pagarsi l'affitto di tasca loro, mentre aspettano.
Gli
alloggiati nel campus usano la mobilità interna per fuggire dai
blocchi verde e giallo per evitare i traslochi e quest'anno la
“minaccia” è stata estesa a tutti, anche ai vincitori di borsa
semestrale che ora stanno nella struttura a titolo oneroso (165€ al
mese). Per questo motivo la campagna di autoriduzione dell'affitto
nelle case dello studente si sta estendendo a varie strutture.
No,
non c'è nessuna collaborazione possibile, il diritto allo studio
porta avanti le sue priorità a scapito dei nostri diritti, anzi il
direttore Vicini si presenta come un filantropo che ci aiuta per
“beneficenza”, e ci invita ad accontentarci perché nelle altre
regioni “le cose vanno peggio”. Lui, come gli altri dirigenti,
amministra le risorse pubbliche per lavoro (guadagnando circa
130,000€ annui), e lo fa male visti i migliaia di esclusi, le
condizioni delle case e delle mense.
La
campagna #iorestosinoal31 è vincente, non ce ne andremo dalla nostra
casa e non ci faremo intimorire. Ogni giorno dobbiamo faticare per
tenere la borsa e vivere la nostra vita da universitari con il
pensiero opprimente di perderla, e con essa la possibilità di stare
in questa città a studiare e formarci.
Uniti
riusciamo a strappare risultati e ad opporci alle favole dell'azienda
che ci vuole far credere che “siamo tutti nella stessa barca”, ma
sappiamo che non è così.