All’avvicinarsi del primo anniversario dell’occupazione della palazzina di via Marsala abbiamo la possibilità di rileggere quella importantissima esperienza con la dovuta freddezza e tentarne una prima narrazione da varie prospettive. Il breve lasso temporale in cui si è sviluppata questa battaglia, poco più di due mesi di occupazione e alcune settimane di presidio permanente in città dopo lo sgombero, e allo stesso tempo la densità e il peso specifico che quelle giornate hanno avuto per un quartiere fino a quel momento dimenticato da tutti e per l’intera città di Pisa, sono aspetti che rendono fondamentale uno sforzo da parte di chi ha costruito e vissuto questa lotta per tentare di caratterizzare con la dovuta importanza di contenuto le ricorrenze che si stanno avvicinando.
Vogliamo quindi parlare del 13 marzo come del Giorno della Dignità, il giorno in cui otto famiglie hanno scelto la via dell’occupazione e della riappropriazione per affrontare una crisi prodotta da altri; la scelta della ribellione in contrapposizione alla logica del sacrificio che vorrebbero imporci sindaci e assessori, una scelta che è senza dubbio stata replicata e massificata negli ultimi tempi in contesti solo all’apparenza molto diversi.
Le famiglie di via Marsala dando battaglia agli speculatori che regnano incontrastati nel mercato del mattone, ad una amministrazione comunale totalmente succube e collusa ad interessi privati e di lobby, agli assistenti sociali che hanno perso completamente ogni velleità di tutela dei diritti assumendo un ruolo di controllo e pacificazione sociale, ad un impianto mediatico che propone un’informazione distorta ad uso e consumo della governance cittadina, hanno probabilmente anticipato nella nostra città quel “que se vayan todos” gridato a gran voce dagli studenti del movimento nell’autunno appena passato verso una cricca di governo politica ed economica, assolutamente trasversale agli schieramenti politici, che a prodotto questa crisi e che continua ad alimentarla per proprio beneficio.
Che se ne vadano via tutti gli artefici della crisi quindi; un passaggio importante e senza dubbio carico di contenuto simbolico sta nel destituire la “sacralità” del palazzo, violare l’intoccabilità della casta; nella nostra narrazione tutto questo ci riporta ai momenti di lotta che hanno seguito la ferma opposizione al primo tentativo di sgombero il 18 maggio, il Giorno della Resistenza, con l’invasione e l’interruzione di una giunta comunale che si aspettava di aver ormai risolto manu militari uno spinoso problema, e, nei giorni successivi, la forte contestazione al sindaco e l’occupazione simbolica della Società della Salute terminata con l’intervento della polizia. La corretta individuazione delle controparti, molteplici e mutevoli, e la determinazione con cui sono state affrontate, ha rappresentato quel salto di qualità rispetto ad altre precedenti esperienze analoghe, che ha permesso di dare un duro colpo agli equilibri e ai dispositivi di governo cittadini, smascherando la beffa che si nasconde dietro agli ormai sempre meno credibili tentativi di pacificazione delle tensioni.
Le famiglie di via Marsala hanno quindi dato la giusta risposta al 18 maggio riproponendo il livello del conflitto nei confronti delle istituzioni che pretendevano di mettere la testa sotto la sabbia, e la reazione scatenata è stata quella degli apparati di un potere arrogante che viene provocato proprio dentro le roccaforti in cui si sente irraggiungibile; la campagna di criminalizzazione mediatica, il tentativo di isolare la lotta delle famiglie in un’ottica eversiva, fino allo sgombero del 26 maggio, il Giorno della Vergogna.
La tendopoli di Largo Ciro Menotti dei giorni seguenti ha rappresentato per certi aspetti un’esperienza altrettanto dirompente; l’aver ritagliato una fetta così consistente e visibile del centro storico destinandola ad una rivendicazione di diritti, respingendo per giorni le provocazioni dei vigili urbani e rendendo minoritarie le lamentele di alcuni commercianti del centro-vetrina, l’aver raccolto una così larga solidarietà dal tessuto cittadino, ha costretto il sindaco a gettare la maschera, invocando l’aiuto del ministro leghista Maroni per poter giustificare un nuovo sgombero. Nonostante ciò a quel punto la lotta e la tenacia degli ex-occupanti hanno pagato, arrivando ad un risultato con la convocazione della commissione per l’emergenza abitativa.
E poco importa che il Pd pisano stia cercando negli ultimi tempi una ristrutturazione, col maldestro tentativo di cavalcare la protesta studentesca o pacificando e concertando altre situazioni tendenzialmente esplosive; il portato politico e conflittuale dell’esperienza di via Marsala ha segnato un solco e una direzione che si rispecchia nei sempre più diffusi meccanismi di ribellione in atto nella nostra città, dalle occupazioni bianche alle resistenze agli sfratti, fino alle battaglie quotidiane con gli assistenti sociali.
Il 13 marzo dell’anno scorso otto famiglie hanno mostrato uno dei modi per mettere in atto in concreto la decisione di non pagare la crisi, dichiarando che il bene di tutti deve imporre la sua priorità rispetto al diritto all’arroganza di pochi. La battaglia che si gioca ora, ad un anno di distanza, è quella di iniziare ad immaginare e creare modi per replicare e moltiplicare quell’esperienza; nei palazzi del centro dove procede la svendita del pubblico nella direzione di privatizzazioni e speculazioni, come nei quartiere popolari periferici dove la necessità capitalistica di mettere a valore territori e risorse sta spazzando via gli ultimi residui di vivibilità.
Vogliamo quindi parlare del 13 marzo come del Giorno della Dignità, il giorno in cui otto famiglie hanno scelto la via dell’occupazione e della riappropriazione per affrontare una crisi prodotta da altri; la scelta della ribellione in contrapposizione alla logica del sacrificio che vorrebbero imporci sindaci e assessori, una scelta che è senza dubbio stata replicata e massificata negli ultimi tempi in contesti solo all’apparenza molto diversi.
Le famiglie di via Marsala dando battaglia agli speculatori che regnano incontrastati nel mercato del mattone, ad una amministrazione comunale totalmente succube e collusa ad interessi privati e di lobby, agli assistenti sociali che hanno perso completamente ogni velleità di tutela dei diritti assumendo un ruolo di controllo e pacificazione sociale, ad un impianto mediatico che propone un’informazione distorta ad uso e consumo della governance cittadina, hanno probabilmente anticipato nella nostra città quel “que se vayan todos” gridato a gran voce dagli studenti del movimento nell’autunno appena passato verso una cricca di governo politica ed economica, assolutamente trasversale agli schieramenti politici, che a prodotto questa crisi e che continua ad alimentarla per proprio beneficio.
Che se ne vadano via tutti gli artefici della crisi quindi; un passaggio importante e senza dubbio carico di contenuto simbolico sta nel destituire la “sacralità” del palazzo, violare l’intoccabilità della casta; nella nostra narrazione tutto questo ci riporta ai momenti di lotta che hanno seguito la ferma opposizione al primo tentativo di sgombero il 18 maggio, il Giorno della Resistenza, con l’invasione e l’interruzione di una giunta comunale che si aspettava di aver ormai risolto manu militari uno spinoso problema, e, nei giorni successivi, la forte contestazione al sindaco e l’occupazione simbolica della Società della Salute terminata con l’intervento della polizia. La corretta individuazione delle controparti, molteplici e mutevoli, e la determinazione con cui sono state affrontate, ha rappresentato quel salto di qualità rispetto ad altre precedenti esperienze analoghe, che ha permesso di dare un duro colpo agli equilibri e ai dispositivi di governo cittadini, smascherando la beffa che si nasconde dietro agli ormai sempre meno credibili tentativi di pacificazione delle tensioni.
Le famiglie di via Marsala hanno quindi dato la giusta risposta al 18 maggio riproponendo il livello del conflitto nei confronti delle istituzioni che pretendevano di mettere la testa sotto la sabbia, e la reazione scatenata è stata quella degli apparati di un potere arrogante che viene provocato proprio dentro le roccaforti in cui si sente irraggiungibile; la campagna di criminalizzazione mediatica, il tentativo di isolare la lotta delle famiglie in un’ottica eversiva, fino allo sgombero del 26 maggio, il Giorno della Vergogna.
La tendopoli di Largo Ciro Menotti dei giorni seguenti ha rappresentato per certi aspetti un’esperienza altrettanto dirompente; l’aver ritagliato una fetta così consistente e visibile del centro storico destinandola ad una rivendicazione di diritti, respingendo per giorni le provocazioni dei vigili urbani e rendendo minoritarie le lamentele di alcuni commercianti del centro-vetrina, l’aver raccolto una così larga solidarietà dal tessuto cittadino, ha costretto il sindaco a gettare la maschera, invocando l’aiuto del ministro leghista Maroni per poter giustificare un nuovo sgombero. Nonostante ciò a quel punto la lotta e la tenacia degli ex-occupanti hanno pagato, arrivando ad un risultato con la convocazione della commissione per l’emergenza abitativa.
E poco importa che il Pd pisano stia cercando negli ultimi tempi una ristrutturazione, col maldestro tentativo di cavalcare la protesta studentesca o pacificando e concertando altre situazioni tendenzialmente esplosive; il portato politico e conflittuale dell’esperienza di via Marsala ha segnato un solco e una direzione che si rispecchia nei sempre più diffusi meccanismi di ribellione in atto nella nostra città, dalle occupazioni bianche alle resistenze agli sfratti, fino alle battaglie quotidiane con gli assistenti sociali.
Il 13 marzo dell’anno scorso otto famiglie hanno mostrato uno dei modi per mettere in atto in concreto la decisione di non pagare la crisi, dichiarando che il bene di tutti deve imporre la sua priorità rispetto al diritto all’arroganza di pochi. La battaglia che si gioca ora, ad un anno di distanza, è quella di iniziare ad immaginare e creare modi per replicare e moltiplicare quell’esperienza; nei palazzi del centro dove procede la svendita del pubblico nella direzione di privatizzazioni e speculazioni, come nei quartiere popolari periferici dove la necessità capitalistica di mettere a valore territori e risorse sta spazzando via gli ultimi residui di vivibilità.
Che ogni contesto, quindi, abbia la sua via Marsala. Buon compleanno.