1. Seguendo Giovanni
Arrighi e i suoi tre scenari ipotetici tratteggiati come sviluppo
della crisi del ciclo di accumulazione del capitalismo
finanziarizzato (prolungamento dell'egemonia americana e dei vecchi
centri di potere in una crisi della capacità espansiva, il
costituirsi di una società di mercato mondiale avente come perno
l'Asia, e la dissoluzione dell'ordine capitalistico in una caos
permanente) il terzo, nella forma di “un
ritorno
stabile al caos sistemico”,
sembra
essere quello maggiormente accostabile al decorso della
contemporaneità.
A
questo si associa la trasformazione della forma Stato come sede
principale del potere mondiale.
2. Il ritorno della
Guerra come possibile strumento di risoluzione – o meglio di
gestione – della crisi capitalistica. La natura della guerra
assume i caratteri della guerra diffusa, permanente e asimmetrica,
oltre la dimensione dei conflitti tra stati-nazione e attraversata
da profonde direttrici di crisi degli equilibri geopolitici, crisi
economico finanziaria e crisi sociale.
Alla storica guerra
guerreggiata si affianca la guerra finanziaria, questi due tipi di
conflitto non sono paralleli ma percorrono vie diverse. Nella
comprensione del fenomeno Isis è centrale una riflessione
sull'antropologia della moneta utilizzata come strumento di controllo
sociale e convertibilità. Una guerra a cui partecipano con
entusiasmo i foreign fighters giovani delle metropoli
occidentali. L'entusiasmo espresso da questi guerriglieri permette di
notare quanto sia forte la costruzione di identità che Isis porta
avanti grazie al rapporto tra aspettativa e promessa che in occidente
è ormai crollato e che rappresenta il punto di rottura su cui Isis
costruisce il proprio richiamo.
All'interno di questa
cornice Isis viene a configurarsi come un esperimento contemporaneo
sulle forme dello Stato oltre il paradigma della sovranità e come un
fenomeno interno alla storia della civiltà capitalistica, facendo
cadere ogni schema di presunto scontro tra civiltà. Isis è un
fenomeno pienamente globalizzato, come si può notare dall'uso della
comunicazione. Il linguaggio dei videogiochi riesce a comunicare
politicamente ai giovani under venticinque
estranei a qualsiasi prospettiva politica nelle metropoli in cui
vivono. Non manca il linguaggio hollywoodiano della guerra, e
twitter. L'efficacia di queste strategie comunicative è veicolata da
un uso spregiudicato e avanguardistico delle tecnologie mediali e dei
media center.
A
questo punto rimangono aperte delle domande. La tenuta dello Stato
Islamico è un progetto in grado di reggere alle pressioni
finanziarie che uno stato welfaristico e patriarcale richiede? Quanto
potrà emergere a livello comunicativo e politico l'alternativa
rappresentata dal progetto di confederalismo democratico del Rojava?
Quali le possibilità per noi di costruire una terzietà di
campo di ragionamento e di posizionamento davanti a queste
macro-dinamiche laddove anche il discorso di liberazione
dall'oppressione viene assorbito dal codice jihadista?