Lunedì
21 la Conferenza dei Rettori (CRUI), ha convocato, da Milano a Palermo, una
giornata di dibattito e discussione attorno sul futuro del sistema universitaro
sotto il brand comune di Primavera dell'università. Tema
unificante è stato la denuncia dello stato di strutturale sottofinanziamento
del sistema ribadendo come invece questo rappresenti una risorsa strategica:
“La conoscenza libera il futuro del paese”, recitava lo slogan della CRUI.
Cosa
ha rappresentato questo passaggio?
L'antefatto:
il sabotaggio della VQR
Innanzitutto
va evidenziato un dato rimosso: l'iniziativa della CRUI sorge come risposta
politica al terremoto interno all'istituzione accademica e al suo rapporto con
il Ministero prodotto dalla protesta del corpo docente sulla Valutazione della
Qualità della Ricerca (VQR). Ricostruiamo i fatti. In grossi numeri gli
accademici, dai ricercatori agli ordinari, hanno promosso l'astensione dai
meccanismi triennali di valutazione sulla base dei quale la parte premiale del
fondo di finanziamento ordinario viene ripartito tra gli atenei e i
dipartimenti meritevoli. Quest'anno sarebbe stato preso in esame il triennio
2011-2014 con il “caricamento”, da parte dei docenti, su software appositi dei
due “prodotti” migliori di ricerca che, calcolati su discutibili indicatori
bibliometrici e di peer-review, avrebbero definito la media della qualità della
produzione di ogni dipartimento, poi dell'ateneo, classificando infine questo
nella caccia alle risorse. Una corsa al massacro certificata dall'ANVUR,
l'agenzia di valutazione della ricerca del Ministero.
In
autunno il sabotaggio della VQR è partito rivendicando, in termini sindacali,
lo sblocco degli scatti stipendiali per gli accademici, fermi dal 2010. La
protesta ha assunto connotati più stratificati con il passare del tempo
impostando una lotta per la dignità della docenza e del sistema universitario, vilipeso da anni
di tagli e riforme peggiorative. In alcuni casi al centro della protesta è
saltato alla ribalta lo stesso principio di una valutazione opprimente,
burocratizzata, anti-scientifica, utilizzata come strumento punitivo e
vessatorio. Sono iniziate a fioccare le mozioni di critica alla VQR da parte di
interi dipartimenti in rivolta. Molti Rettori, interpellati politicamente sono
stati messi alle strette e, per evitare che la protesta si allargasse
compromettendo il processo di valutazione e dunque l'accaparramento dei fondi,
sono stati costretti a farsi portatori del malcotento presso il Ministero o a
scontrarsi dentro la CRUI, organo di consulenza ministeriale, spesso e
volentieri cinghia di trasmissione delle indicazioni politiche ministeriali
negli Atenei.
Lo
scontro si è acuito fino a produrre alcuni rinvii per la consegna dei
“prodotti”. Nel frattempo rappresaglie interne agli atenei hanno portato a
minacce rivolte ai protestatari da parte di Rettori furiosi e direttori di
dipartimento sull'orlo di più di una crisi di nervi; in diversi casi i vertici
dell'ateneo hanno proceduto al prelievo forzoso dei dati utili alla VQR,
calpestando la protesta per paura che dilagasse. “Volevamo portare avanti
una protesta che arrivasse al Ministero. Uno sciopero non sarebbe arrivato alle
orecchie di nessuno”, ha dichiarato una docente del dipartimento di Chimica
dell'Università di Pisa, uno dei fronti più caldi di astensione dalla VQR in
tutta Italia. E alle orecchie del Ministero più di qualcosa sembra essere
arrivato. Alla scadenza della consegna dei prodotti, lunedì 14 marzo, il
progetto di monitaraggio ministeriale ha presentato più di una falla. Sebbene i
vertici dell'ANVUR sbandierassero una buona adesione alle procedure di VQR in
realtà i dati reali hanno segnalato il fallimento dell'operazione. I prodotti
conferiti sono stati il 92% di quelli attesi, contro il 95% della VQR
2004-2010, con ben 32 sedi al di sotto della media e tre atenei in cui
l'astensione ha coinvolto più del 20% del corpo docente: Salento (29,3%),
Napoli Parthenope (26,3%) e Pisa (23%). Il risultato è una fotografia non
fedele dello stato della ricerca in Italia, con dati a macchia di leopardo, e
dunque un quadro non affidabile sul quale procedere a una ripartizione delle
risorse. Un caso su tutti è quelli pisano dove, a seguito della protesta,
l'Ateneo si vedrebbe precipato dal vertice al fondo delle classifiche per la
corsa ai fondi.
Roars,
un portale on-line che ha rappresentato uno dei megafoni principali del
dissenso sulla VQR, nella serata di lunedì 14 così commentava: “Contro tutto
e contro tutti, la protesta #stopVQR non si è sciolta ed è riuscita a mantenere
dimensioni tali da mettere in discussione l’esercizio di valutazione. Per
mascherare l’impasse, l’ANVUR gioca d’anticipo e canta vittoria, fingendo che
sia stato una specie di sereno referendum sulle sue procedure di valutazione,
ma quello che abbiamo visto assomigliava di più alle finzioni elettorali degli
stati di polizia, dove se non vai a votare il candidato unico sai che finirai
nel libro nero. L’istantanea della ricerca di cui parla il comunicato ANVUR
nasce già sfocata ed è una foto di classe che lascia fuori campo un bel pezzo
di Pisa. Punire l’ateneo pisano per scarsa obbedienza è utile per il paese? E
come si farà allora a giustificare l’uso della VQR per le future ripartizioni?”
E' primavera ma fuori fa freddo: la giornata del 21 marzo
E'
stato così dunque che più di un campanello d'allarme è suonato per il
Ministero. La CRUI è corsa ai ripari: non potendo ignorare il malessere, questo
andava comunque simboleggiato all'esterno disinnescando però dall'interno la
protesta. In questo modo, mentre in casa propria ergevano barricate contro
l'astensione dalla VQR dei docenti, i Rettori riuniti nella CRUI hanno deciso
di promuovere La Primavera dell'Università: una risposta alla protesta che ne
rappresentasse alcune istanze – fondamentalmente la rivendicazione della
strategicità dell'università come terreno di investimento e sviluppo
capitalistico - neutralizzando però la politicità di una lotta che minava alcuni
meccanismi strutturali dell'università riformata nella critica di un sistema
meritocratico e definanziato. In altre parole: senza sabotaggio della VQR non
ci sarebbe stata la Primavera dell'Università.
Essendo
stata la protesta contro la VQR disomogenea sul territorio nazionale gli stessi
caratteri della giornata del 21 marzo si sono presentati in maniera parecchio
differenziata da Ateneo ad Ateneo. Lo spettro è ampio: da spazi di discussione
reali, maturati su conflitti recenti ma capaci di sedimentare partecipazione e
indicazioni future, a semplici teatrini di compatibilità istituzionale. Alcuni
esempi:
A Cagliari
un corteo di circa un migliaio di persone tra professori e studenti si è
mosso dal Rettorato per raggiungere il municipio in via Roma. Un tragitto
solenne da palazzo a palazzo in cui le istituzioni si sono strette attorno
all'università cagliaritana e in sua difesa. Alla testa della marcia il
sindacato studentesco a scortare Rettore e Sindaco. Al pomeriggio un'iniziativa
al Rettorato ha ospitato l'intervento di Alberto Scanu, presidente di
Confindustria Sardegna con all'attivo vari progetti di speculazione energetica,
chiamato a parlare del rapporto tra l’Università e i privati. Nel principale ateneo sardo, come in molti altre sedi
del meridione e delle isole, il tema della condanna degli atenei del sud
attraverso i meccanismi premiali è stato messo al centro del dibattito. La
preghiera unificante è quella di salvare le università come polo
dell'integrazione tra tessuto sociale e produttivo. Una retorica sistemica
che non solo ripete il mantra della stessa competitività che ha stroncato la
chimerica dimensione universalistica della formazione universitaria, ma anche
una retorica arretrata rispetto ai reali piani di investimento capitalistici nel
quadro europeo. L'impresa italiota sembra capace solo di un uso straccione,
rapace e circoscritto delle università del meridione nello sviluppo di alcune
punte avanzate specifiche, non di un'integrazione organica. Eppure è la stessa
ineusadibilità di questa preghiera che proietta in un vicolo cieco la
rivendicazione per uno sviluppo dell'università nell'integrazione con
l'impresa. Nell'impossibilità si impone la frattura e quindi rinnovate
condizioni per altri discorsi, interessi ed istanze soppressi entro la cornice
istituzionale come quelli riguardanti le aspirazioni e le aspettative di una
soggettività giovanile spinta a un'emigrazione forzosa dal sud al nord.
A Pisa,
dove lo scontro tra la protesta #StopVQR e i vertici dell'ateneo si era fatto
più caldo portando alla sospensione dei fondi interni e dei piani di
investimento da parte del Cda per rappresaglia contro la protesta, il rettore
Augello ha disertato qualsiasi forum pubblico, limitandosi a convocare la
stampa a porte chiuse. In mattinata presso il Polo Fibonacci si è tenuta
un'assemblea promossa dai docenti più attivi nella protesta VQR. Presenti anche
l'ex ministro Carrozza e altri esponenti parlamentari. Questi, incapaci di
intendere la dimensione della critica e privi degli strumenti per fornire
risposte adeguate, hanno quasi colpevolizzato l'astensione dalla VQR
attirandosi lo sdegno della platea che sempre più, dopo lo scontro interno a
UniPi, cerca nella sfera pubblica e anche fuori dal perimetro istituzionale
interlocutori per un dibattito. Pur imbrigliata nell'idea della strategicità di
un'economia della conoscenza che sconta l'incapacità di leggere, scambiandolo
per errore, nel disinvestimento nell'università italiana un progetto di
modernità capitalistica di spazio europeo di valorizzazione della produzione
accademica, il volano della protestaa Pisa ha messo al centro il nodo delle
risorse. Questo ha significato la tematizzazione delle possibilità di
realizzazione soggettiva di chi attraversa le università. I limiti a questa
realizzazione definiscono da subito una soggettività potenzialmente
irrecuperabile perché si trova costretta a lottare e a scontrarsi per
affermarsi. Ciò riguarda sia la parte studentesca, in cerca delle proprie forme
di insubordinazione per guadagnare forza in un rapporto formativo analogamente
svilente e alienante, sia il corpo docente:
“le risorse per i miei progetti di ricerca le ho dovute reperire da
me, cercandole tra i privati, che sono soggetti deboli e non affidabili”
affermava un docente di ingegneria a cui faceva Eco la testimonianza di una
professoressa dell'ex facoltà di lettere impegnata in progetti di
internazionalizzazione: “per costruire le possibilità ai miei studenti ho
dovuto da sola costruire i contatti con l'università di Aix-en-Provence,
mettendoci i soldi di tasca mia per la benzina, per il soggiorno, senza alcun
aiuto né materiale né nel lavoro. Non c'è un investimento ma non sopporto di
bruciare le carriere di studenti brillanti che qui non avrebbero opportunità”.
Il
nodo delle opportunità da guadagnare attaverso l'università riformata, pure a
questi ritmi, a questi standard di competitività, pur pagando un prezzo alto in
termini di sacrifici, davanti
all'innalzamento ulteriore dei costi, materiali e soggettivi, rischia di
ribaltarsi facilmente nella maturazione dei limiti della sopportabilità e nella
critica di una dimensione alienata e omologata comunque non sufficiente
all'aspirazione di una realizzazione remota. Questo è vero in misura
esponenzialmente maggiore per il segmento studentesco. L'operazione rettorale
della Primavera dell'Università, dove non scalfita da altri scontri su livelli
medio-alti della gerarchia accademica come quello sulla VQR, rimanendo
arroccata dentro il perimetro istituzionale, ha accentuato i caratteri di una macchina-università distruttrice di
capacità e ricchezza per la più parte di coloro che l'attraversano.
L'inaccessibilità di una dimensione realizzativa, cristallizzata in questa
forma- istituzione, è ben esemplificata da quanto successo a l'Università la
Sapienza di Roma e soprattutto all'Università di Torino. In
entrambi i casi, per poter prendere parola in assemblee pubbliche alla
presenza dei Rettori, gli studenti hanno dovuto sgomitare e a Torino
addirittura fronteggiare la polizia. Il fatto, non scandalizzando più neanche
le anime liberal di cui i nostri atenei sembravano affollati, rappresenta un
indice concreto di come sarà necessariamente da uno scontro tra ruoli e
gerarchie, tra progetti e interessi contrapposti che passerà una trasformazione
dell'università nel verso dell'innovazione o nel verso della rottura. Per la
dimensione irreversibile di un progetto di riforma che procede da un ventennio
a questa parte anche una ipotesi di rinnovamento endogena, in uno scontro tra
chi è interno alle gerarchie e ai rapporti di valorizzazione di questa
università (come ancora si può dire sia stata la protesta #StopVQR), misurerà
la propria capacità performativa su una disponibilità a mettere in crisi la
forma-istituzione attuale dell'università con ruoli e gerarchie connesse.
Un uso capitalistico dell'università e i suoi punti
frattura
Quello
che si può leggere nella Primavera dell'Università, come dato di superficie e
unificante rispetto ad alcuni micro movimenti nel mondo universitario, è
l'emersione di una rivendicazione su ipotesi differenti di modelli di
innovazione capitalistica attraverso l'università. E' questa l'istanza che la
CRUI ha raccolto dal conflitto sulla VQR, sacrificandone le stratificazioni
soggettive. In questione è in ultimo, per il momento e secondo lo spaccato del
21 marzo, la domanda seguente: quale uso capitalistico dell'università nel
contesto italiano?
La
costruzione del mercato europeo integrato della formazione – quella favola per
cui hanno introdotto il 3+2 i crediti, corsi da 60 ore e analoghi strumenti
assunti dall'intera “comunità accademica” come vettori per l'integrazione
nell'innovazione - se può dirsi fallita come progetto europeista, ha comunque
introdotto delle linee di valorizzazione che, pure se ad alto costo e basso
rendimento, rappresentano le uniche risorse su cui investire per chi vive le
università oggi. Queste linee si sono strutturate non su uno spazio omogeneo,
dell'interscambio di una serena comunità cooperante nell'interesse universale
della scienza, ma sulle gerarchie del mercato della crisi europea e delle sue
differenti altezze. Non sorprende che in questo contesto l'Italia rappresenti
un laboratorio ma non la punta più avanzata della valorizzazione per il
capitale, che è anche il punto del comando e della codificazione della
merce-sapere-lavoro in merce-sapere-prodotto. Il nodo è che delle forze
soggettive e delle attività umane che concorrono al lavoro astratto nella
formazione delle merce sapere è previsto – come in Italia – sacrificarne e
distruggerne gran parte, mentre la parte restante per farsi lavoro concreto,
prodotto, deve essere trasferita laddove stanno i punti più alti della
valorizzazione, del comando, all'altezza dove si stratificano le gerarchie
produttive e di mercato.
“Formiamo le eccellenze e le vediamo
realizzarsi in Francia. I miei colleghi francesi, alla Sorbona, mi dicono che
il livello dei corsi è aumentato notevolmente da quando ci sono più studenti e
ricercatori italiani. Con loro, dicono, si può trattare qualsiasi testo a
qualsiasi livello di complessità. Ma sono sicura di una cosa; si parla tanto di
cervelli in fuga, ma quelli che restano non è che non ce l'abbiano il cervello”.
Così si esprimeva pochi giorni fa un'altra docente pisana dell'area umanistica.
Come già si intuiva dal dibattito sul valore della ricerca che contrapponeva i
ricercatori formati in Italia ma assunti e valorizzati all'estero (Olanda,
Francia, Germania... ricordate la ricercatrice D'Alessandro in polemica con laGiannini?) ciò che salta all'occhio è l'assoluta compatibilità di questi
percorsi di vita – fatti di emigrazione all'estero o di frustrazioni in Italia
- con la tenuta di un'economia complessiva. La contraddizione sorge laddove la
soggettività in cerca di valorizzazione non accetta più né i costi di quel percorso
di vita né la sua direzione.
Ora,
ciò che emerge nel dibattito del 21 marzo, e anche in quello di superficie
della critica alla VQR, è la rivendicazione di un uso capitalistico
dell'università come fossimo al punto più alto della valorizzazione della
merce-sapere: “dalla conoscenza passa il futuro del paese”, dice la CRUI,
“l'università ha un valore strategico per il paese”, dicono i prof della
#StopVQR. La realtà è che questa rivendicazione, nel momento stesso in cui si
impone, si consegna direttamente all'irrecuperabilità. La domanda di
innovazione dell'università italiana al livello più alto della valorizzazione
non è dialettizzabile perché gli indirizzi di investimento complessivo e le
gerarchie di potere per il capitale sono contrarie a questa ipotesi,
privilegiando un altro ordine, altre priorità. Ciò significa che questa
composizione tecnica-per-il-capitale, con un ruolo intermedio nella
riproduzione della macchina-università orientata alla forma-laboratorio per
altri centri di comando e realizzazione della merce-sapere-prodotto, nella
lotta per avanzare una sua propria ipotesi di sviluppo o mette in discussione
la sua stessa riproduzione in quanto tale, in quanto
segmento-tecnico-per-il-capitale, il suo ruolo dentro un indirizzo sistemico e
istituzionale o è condannata all'impotenza.
Questi
micromovimenti in università hanno certamente il carattere di lotte per
l'innovazione (come potrebbe essere altrimenti?) eppure il punto limite di
queste lotte – l'impossibilità dell'innovazione nel verso per cui si lotta – è
talmente prossimo alla stessa nascita della rivendicazione da proiettarle
subito davanti alla sfida di una ridiscussione delle relazioni vigenti, alla possibilità
di essere lotte contro ruoli e gerarchie ruoli istituzionali che lavorano invece
per un'ipotesi di innovazione distruttrice di capacità, competenze e ricchezza
soggettiva. D'altra parte la stessa spinta a sollevare un problema,
talvolta a ingaggiare uno scontro, sorge proprio sul punto di consumo di un
processo di impoverimento che ha toccato anche strati medio alti della
macchina-università così orientata. I caratteri di proletarietà tra il corpo
docente si rintracciano nella perdita di autonomia e indipendenza: “la trama
normativa è diventata opprimente nei confronti del lavoro di ricerca che invece
ha bisogno di libertà”, così si esprime un antichista sempre di Pisa.
Attestarsi
solo sul riguadagnare quella dimensione di libertà significa ovviamente
rifugiarsi nella difesa del privilegio. Eppure c'è una continuità di questo carattere
e di questa condizione tra differenti segmenti e livelli, omogeneizzati verso
il basso negli anni recenti. Le scintille di mobilitazione tra gli studenti
contro il nuovo calcolo ISEE nelle università in autunno, e probabilmente
nuovamente ora con l'innalzamento delle tasse, cos'altro hanno segnalato se non
la dimensione della perdita di senso della propria attività a questi
costi, davanti a questa truffa? Dal “chi me lo fa fare” al “non lo posso
tollerare”. Lo studente, non più rappresentabile solo come forza lavoro in
formazione, è già soggettività al lavoro. Intercambiabile ma non eccessivamente
flessibile, perché in una dimensione di flessibilità c'è sempre in latenza la
tensione a un uso autonomo di certe capacità, a una conquista di autonomia, sia
come iniziativa incentivata dentro il rapporto di subalternità perché poi
soggetta a cattura, sia come esigenza di realizzazione soggettiva: in entrambi
i casi le linee di fuga che si scatenano si presentano davanti a uno scontro
con i tentativi di recupero della soggettività in una dimensione subalterna per
affermarsi.
Questi
nodi mettono al centro il ciclo produttivo della soggettività e della
produzione di merce-sapere nelle nostre università interrogandone il processo,
i ruoli e i fini. Frammentazione degli insegnamenti, rottura del rapporto
formativo nell'investimento su una ricerca burocratizzata e macchinizzata a
discapito della didattica, mancanza di risorse materiali, sono tutti tratti di
una tendenza all'alienazione e all'omologazione delle operazioni in questa
macchina-università. Un eccedenza soggettiva emerge nel non accettare questo
regime di operatività mettendo a critica, dentro ancora un'ipotesi di uso
possibile dell'università, non la misurazione del sapere – ideologicamente
intesa – ma il fatto che la misura del valore non qualifica più una
valorizzazione effettiva.
Da InfoAut.org
Collettivo Universitario Autonomo Pisa
Da InfoAut.org