La vicenda di un
gruppo di studenti e studentesse borsisti che, per il secondo anno
consecutivo, hanno deciso di dar seguito alla pratica di
autoriduzione del canone di affitto per gli ultimi sei mesi di
permanenza in casa dello studente da 165 euro a 33 euro, mette in
luce alcune tendenze del governo del diritto allo studio nella
città di Pisa.
Innanzitutto c'è da
rilevare come a un mese dall'inizio della campagna di autoriduzione
l'azienda abbia deliberatamente scelto di non prendere in
considerazione una precisa domanda: abbassare nel nuovo bando DSU
Toscana l'affitto per i borsisti semestrali. Solo una lettera che
intimava il pagamento della quota per intero è stata inviata dietro
minaccia di sospendere il beneficio e di venire sfrattati
dall'alloggio. Appare chiaro come l'insolvenza – il non poter
pagare – quando assume un profilo pubblico avanzando una domanda
sociale, sia contrastata e ridotta a irregolarità da sanare
mediante l'estorsione e il ricatto. Eppure la “prassi” è ben
diversa: se ci si inginocchia per andare a elemosinare una
rateizzazione del pagamento o il permesso a poter stare qualche mese
chiudendo un occhio, la magnanimità del “nostro dsu”, paterno e
comprensivo, è ampia. Certo, piccolo particolare, questa concessione
risulta possibile a condizione che si accetti una subalternità di
fondo, che si resti soli e che questo rapporto sia consegnato al
sommerso dell'informalità.
Alla faccia delle
retoriche della trasparenza proprie del new public management il
tratto dell'informalità resta un altro asse portante delle
strategie di governo dell'azienda. Se i livelli locali della
dirigenza soffrono di irrimediabile ponziopilatismo davanti alle
domande politiche di cui sopra è anche perché, nel suo
funzionamento, la filiera del comando che cerca di imporre la
solvibilità di chi non può più pagare si guarda bene dal venire
allo scoperto. Il presidente dell'azienda Moretti non si fa
scrupoli a servirsi della rappresentanza studentesca come tramite
delle minacce: “se non pagate revocano il beneficio, elimineranno
la figura di borsista semestrale e tutti verranno penalizzati, tale
giorno in tale incontro riservato si deciderà di voi ma senza di voi
quindi è bene paghiate prima”.
L'università somiglia
sempre più a una macchina di svalorizzazione della forza lavoro:
'Bravo ti sei laureato con lode, un big mac e una coca cola grande,
grazie!', non è solo un bel meme. Così la lotta per l'inclusione
nei tempi e nelle condizioni del percorso formativo (diritto allo
studio) diventa semplice intermediazione sulla distruzione delle
capacità e delle opportunità individuali se non contrasta
l'estrazione diretta di valore che passa per i costi della vita
studentesca: tasse, libri e... affitto in casa dello studente!
L'investimento sul futuro è la forma più immediata di sfruttamento.
Lottare per stare dentro la macchina-università significa quindi non
lottare per l'inclusione formale ma lottare per ridurre i costi della
vita come condizione per costruire nuovi margini di autonomia e
rinnovate possibilità. Questa ricerca di nuovi varchi di accesso può
configurarsi solo entro comportamenti collettivi e uno scontro
visibile per affermare il diritto a organizzarsi per non pagare.
Al contrario, lavorare per non far emergere questo scontro,
soffocarlo nel terrorismo dell'informalità promosso anche da una
rappresentanza che più che riportare questa istanza al livello
politico riporta l'imperativo politico della solvibilità su questa
istanza per frammentarla e indebolirla, significa consegnarsi a un
governo del diritto allo studio nell'illusione di preservare ancora
una qualche prerogativa sul piano dell'interlocuzione per la
compatibilità.
Collettivo
Universitario Autonomo – Pisa
Queste riflessioni
sorgono a partire dal comunicato degli studenti autoriducenti sullo
stato attuale della campagna di autoriduzione dell'affitto in casa
dello studente che qui di seguito riportiamo per intero.
Perché autoriduzione?
Abbiamo deciso di autoridurci l'affitto che il
DSU richiede per rimanere negli alloggi l'ultimo semestre del terzo
anno di specialistica (o quarto di triennale) per diversi motivi. Gli
studenti a cui viene richiesto l'affitto non hanno “perso” la
borsa di studio ma col meccanismo della “borsa semestrale” il DSU
impone un canone a chi non anticipa l'uscita ad aprile. Le sessioni
di laurea valide per l'Università sono completamente altre da quelle
considerate dal diritto allo studio. Secondo le retoriche
dell'azienda sino ad aprile siamo “meritevoli” perché per tutta
la carriera universitaria abbiamo mantenuto la borsa di studio, dal
mese scorso nel bel mezzo della stesura della tesi, abbiamo smesso di
esserlo. Questa è un'ennesima dimostrazione di come la retorica
della meritocrazia incarni solamente dei dispositivi di
disciplinamento ed esclusione.
Inoltre negli ultimi anni il canone mensile è
aumentato dai 128€ previsti dal bando 2010/2011 ai 165€ attuali.
In cinque anni, sulle 6 mensilità previste dalla borsa semestrale,
il DSU ha richiesto 222€ in più a ogni vincitore di borsa
semestrale. Il costo dell'alloggio per l'azienda invece diminuisce di
anno in anno perché vengono tagliati tutti i servizi ad esso
connesso (pulizie, portierato etc). Sono cifre non di poco conto,
soprattutto se richieste a giovani studenti e studentesse “privi di
mezzi”. La figura solo toscana del “borsista semestrale”
rappresenta uno scimmiottamento del diritto allo studio; durante lo
stesso anno per un semestre sei uno studente borsista con i servizi
connessi, il semestre successivo devi pagare tutti questi servizi
senza nessun tipo di agevolazione.
La quota richiesta è più simile a quella di
un affittacamere che ad un contributo simbolico al diritto allo
studio (peraltro ingiustificato, visto che abbiamo i requisiti per la
borsa di studio). L'azienda tiene in considerazione i cambiamenti
economico sociali del Paese solo nel momento in cui deve
“razionalizzare” i servizi, aumentarne il costo e scaricarli
verso il basso (lavoratori e studenti); ne è del tutto incurante
quando più di 1500 borsisti ogni anno non si vedano riconosciuto il
diritto di avere un alloggio e sono costretti a fare i conti con un
mercato degli affitti totalmente sregolato.
La nostra protesta parte da un'impossibilità
di pagare questi costi per arrivare a chiedere il cambiamento del
bando per gli anni prossimi: il canone d'affitto dev’essere
annullato o al massimo diventare una quota simbolica.
Qual è stata la risposta?
L'8 maggio abbiamo consegnato il primo
bollettino autoridotto. La responsabile e la dirigente regionale
delle residenze hanno risposto venti giorni dopo con una lettera
raccomandata in cui minacciavano la revoca del beneficio se non
avessimo corrisposto il resto dell'affitto entro due giorni. Siamo
riusciti ad ottenere un incontro politico per discutere della
questione e della modificazione del bando per gli anni prossimi.
L'incontro si è tenuto mercoledì 27 maggio, le dirigenti non hanno
mostrato nessuna volontà di dialogare con la Regione per modificare
la figura del “borsista semestrale” (benché sia nelle facoltà
dell'azienda) e non hanno dato risposte precise sulla minaccia del
provvedimento di revoca del beneficio.
Due giorni dopo l'incontro, per vie ufficiose i
dirigenti ci fanno arrivare nuove minacce: se non accettano la
rateizzazione del pagamento revochiamo il beneficio.
Noi siamo stanchi delle vie subdole che
l'azienda adotta per spaventarci. Abbiamo richiesto e aperto
un'interlocuzione politica su delle problematiche reali e vive tra
gli studenti e non accettiamo nessun tipo di intimorimento subdolo e
veicolato per via di terzi. Se i dirigenti hanno preso una decisione
ce la dicano chiaramente. Sappiamo che se non avessimo posto la
questione in maniera pubblica, chiedendo la modifica del bando, la
dirigenza probabilmente avrebbe chiuso un occhio. È questo
il comportamento quando studenti in difficoltà chiedono
individualmente degli aiuti extra bando, perché il diritto allo
studio fa acqua da tutte le parti. L'azienda mantiene sotto scacco
gli studenti impostando un rapporto personale di cessione dei
benefici a patto che tutto si
faccia “a umma umma” senza affrontare pubblicamente i problemi.
Abbiamo chiesto ufficialmente di considerare la
condizione critica di quegli studenti che vanno incontro a ritardi
(non previsti) nella conclusione della tesi e non hanno alcuna
possibilità di lasciare l’alloggio.
Il modo in cui la dirigenza
intende trattare la questione dev’essere comunicato a tutti gli
interessati, non riferito ad alcuni di essi per via telefonica.
Se è il problema è stato discusso, l’esito di questo dialogo dev’essere chiaro, prima di una risposta.
Altrimenti non è possibile parlare di dialogo e l’azienda si assume la responsabilità di un comportamento ben lontano dal suo ruolo di sostegno agli studenti.
Se è il problema è stato discusso, l’esito di questo dialogo dev’essere chiaro, prima di una risposta.
Altrimenti non è possibile parlare di dialogo e l’azienda si assume la responsabilità di un comportamento ben lontano dal suo ruolo di sostegno agli studenti.
Gli studenti autoriducenti
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