La vicenda di un
gruppo di studenti e studentesse borsisti che, per il secondo anno
consecutivo, hanno deciso di dar seguito alla pratica di
autoriduzione del canone di affitto per gli ultimi sei mesi di
permanenza in casa dello studente da 165 euro a 33 euro, mette in
luce alcune tendenze del governo del diritto allo studio nella
città di Pisa.
Innanzitutto c'è da
rilevare come a un mese dall'inizio della campagna di autoriduzione
l'azienda abbia deliberatamente scelto di non prendere in
considerazione una precisa domanda: abbassare nel nuovo bando DSU
Toscana l'affitto per i borsisti semestrali. Solo una lettera che
intimava il pagamento della quota per intero è stata inviata dietro
minaccia di sospendere il beneficio e di venire sfrattati
dall'alloggio. Appare chiaro come l'insolvenza – il non poter
pagare – quando assume un profilo pubblico avanzando una domanda
sociale, sia contrastata e ridotta a irregolarità da sanare
mediante l'estorsione e il ricatto. Eppure la “prassi” è ben
diversa: se ci si inginocchia per andare a elemosinare una
rateizzazione del pagamento o il permesso a poter stare qualche mese
chiudendo un occhio, la magnanimità del “nostro dsu”, paterno e
comprensivo, è ampia. Certo, piccolo particolare, questa concessione
risulta possibile a condizione che si accetti una subalternità di
fondo, che si resti soli e che questo rapporto sia consegnato al
sommerso dell'informalità.