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FUORICORSO Fanzine degli studenti in lotta! secondo numero
Verso
la rottura di un modello di accumulazione basato sulla
valorizzazione dei saperi e l'impoverimento sociale.
Vogliamo
iniziare a confrontarci con le mutate
condizioni, bisogni e desideri della composizione studentesca.
Il
passaggio segnato dal decreto Profumo, al di la' delle sue incerte
sorti legislative, testimonia di un'accelerazione nel processo di
dismissione dell'università pubblica e del restringimento
dell'accesso al mondo dei saperi.
Questo processo è stato conflittualmente attraversato da tre
importanti cicli di movimento: No Moratti (2005), Onda (2008), No
Gelmini (2010). La sconfitta di questi movimenti ha prodotto un
mutamento dei caratteri della soggettività universitaria, sempre più
dispersa nei contesti della precarietà metropolitana e
dell'accettazione dell'indebitamento come condizione per accedere ai
servizi.
Il
decreto - che prendiamo ad esempio come summa di processi già
sedimentati nei rapporti sociali che regolano la valorizzazione
capitalistica dei saperi - nelle sue linee portanti, si compone di
due indirizzi fondamentali ai quali, simmetricamente, corrispondono
due retoriche masticate ormai da tempo: innalzamento dei requisiti
formativi da conseguire in termini di CFU per il mantenimento delle
borse di studio e la diminuzione delle soglie di accesso in termini
di ISEE ai sussidi per il diritto allo studio. Il primo aspetto
articola una retorica
del merito –
pretendendo di incentivarlo -, il secondo aspetto articola una
retorica della scarsità
di risorse – propugnando una
loro razionalizzazione.
Significativo a riguardo l'aggancio della concessione delle quote
monetarie di borsa a un sistema di rateizzazione rigidamente
vincolato a parametri meritocratici.
Una
vera e propria corsa
ad ostacoli tra accreditamento e accesso al reddito.
Per
ciò che concerne invece il restringimento a monte dell'accesso alle
graduatorie relega fuori dalla possibilità di accedere ai servi.
L'obbiettivo resta il medesimo: ridurre
la platea dei beneficiari o escludendo dai servizi o producendo nuovi
poveri. Il restringimento
dell'accesso è spacciato come “tesoretto” per l'incremento delle
borse assegnate ai meritevoli nell'ottica della promozione del merito
e di un'equa allocazione delle risorse per lo sviluppo della
competitività: da
“poco a tanti”, ad “abbastanza a pochi”.
La
natura di questo doppio attacco, sui
ritmi e sull'accesso, s'inscrive in
uno scenario del mondo formativo violentemente trasfigurato negli
ultimi anni. Quando, tra Moratti e Gelmini, le lotte nelle
università, pur tra svariate contraddizioni, ponevano la questione
del venir meno dello Stato nel suo ruolo di finanziatore e dunque
garante di un pubblico accesso agli studi, individuavano il
nodo della ristrutturazione del comando sui saperi e sulle
soggettività in formazione.
Nessuna abdicazione dunque, ma la riformulazione
del pubblico come agente del controllo sui processi di
economizzazione delle università.
L'obiettivo raggiunto è un'ulteriore mercificazione
delle politiche formative e la diffusione di standard capaci di
trasformare capacità
in competenze,
non solo nell'ambito strettamente accademico ma in qualsiasi ambito
connesso definito dalla centralità del sapere. L'università diventa
l'incubatore privilegiato di questo sistema
della formazione che travalica i confini del percorso di studio e si
fa metropoli: dai call center alla
logistica, dal terzo settore alla grande distribuzione, il lavoro
vivo necessita sempre più di essere codificato per essere
controllato e misurato. I margini di autonomia e di decisione si
fanno sempre più risicati in virtù di una formazione
di operatori capaci di eseguire ed attivare processi produttivi.
I
“picchi” della lotta universitaria – dal blocco della
circolazione delle merci e della “normale riproduzione” fino agli
scontri del 14 dicembre - hanno fatto emergere i tratti materiali
delle soggettività resistenti rispetto agli attacchi al
“sistema-formazione”. Davanti a questo la risposta di chi ha
vinto è stata quella di spostare più “in alto” il livello del
conflitto, con quella che chiamiamo metropolitanizzazione
dello studente: diffusività
dei luoghi del comando e intensività dello sfruttamento in funzione
di nuovi processi di accumulazione fatti di svalutazione soggettiva e
maggior produttività.
Come la Fornero ha radicalizzato un processo di precarizzazione del
lavoro - eliminando l'articolo 18 ed introducendo nuovi dispositivi
di sfruttamento – così gli attacchi condotti fino al decreto
Profumo sostanziano le retoriche del merito e della “lotta agli
sprechi” con l'aumento dello sfruttamento di un segmento
composizione studentesca. In entrambi i casi l'obbiettivo rimane il
medesimo: distruggere le rigidità ancora annidate nelle ultime
sacche di “soggetti garantiti”.
Occorre
però soffermarsi su un elemento importante.
Che soggettività si produce
da questa ristrutturazione, da questa nuova accumulazione?
Lavoro vivo qualificato, altamente flessibile, si districa tra
l'alto disciplinamento dei percorsi di studio e il rischio di venirne
espulso venendo inserito in circuiti di sfruttamento contigui alla
fabbrica del sapere: il mondo delle abilità relazionali che
riproduce gran parte dell'universo precario in formazione. Ma,
sull'aspro profilo di questo crinale soggettivamente attraversato in
massa ormai da una intera generazione, ci sembra che la fase di crisi
capitalistica attuale mostri un punto
di rottura collettivamente interpretabile e suscettibile di
inversione. Serpeggia con sempre più
insistenza infatti la stessa domanda: «fino
a che punto?».
A
proposito segnaliamo un post che sta girando sui gruppi facebook di
alcune case dello studente di Pisa, indicatore dei potenti tratti di
rifiuto di una condizione sentita come non più sopportabile:
Cari
politici,
ho 29 anni e sono laureata in Giurisprudenza con il massimo dei voti e tanto di rispettabile specializzazione, LAUREA sudata e pagata di tasca mia molto spesso seguendo i corsi di giorno, lavorando di sera e studiando di notte. Da quasi un anno faccio la praticante avvocato e sto per conseguire un master di II livello....potrei citarvi ulteriori corsi o titoli che vanno a DECORARE il mio curriculum vitae...ma poco importa....poco importa perché se dovessi fare “affidamento” su quel che guadagno grazie ai miei titoli di studio, sarei imbarazzata nel dirvi che non potrei permettermi neppure di offrire un caffè al bar ad un'amica, questo è il motivo per cui “per arrotondare” di sera lavoro in un ristorante.
Forse, secondo tanti, rappresento un TRISTE scorcio di questa società in crisi e così poco attenta ai giovani, rappresento una gioventù FRUSTRATA perché non ha futuro e non ha sicurezze che gli permettono di costruirselo... forse incarno una generazione ABUSATA da ogni ideale, VIOLENTATA e DERUBATA dei suoi promettenti sogni... ma la VERITA' è che non sono né triste e né frustrata, non lo sono perché non ho mai preso le scorciatoie allettanti che il vostro sistema spesso ci propina su un piatto d'argento, non lo sono perché così facendo non mi sono resa SCHIAVA di voi e del vostro sistema, non lo sono perché non sono sola e perché come me so ce ne sono ALTRI.
Io sono solo ARRABBIATA perché VOI volete rubarci la nostra DIGNITA'.
Mi piacerebbe che voi politici, con i vostri titoli finti o acquistati per voi e per i vostri figli, quando alle 19 salgo le scale di casa mia vestita da rispettabile DOTTORESSA per riscenderle alle 19 e30 vestita da altresì rispettabile LAVAPIATTI-PIZZAIOLA, ecco sì …. lo ammetto..mi piacerebbe trovarvi a spazzarmi le scale sulle quali sono appena passata!
Nessuno dei vostri nomi è degno di essere scritto dalla mano di noi italiani questo fine settimana!
Con questo non voglio essere presuntuosa, voglio solo dirvi che la DIGNITA' che vi siete venduti, e della quale avete cercato di rendere ORFANI anche noi come popolo italiano, non è in VENDITA....
Voi no, ma noi come popolo possiamo e dobbiamo trovare la forza di guardarci allo specchio e non vi daremo la soddisfazione di non farlo anche questa volta!!
ho 29 anni e sono laureata in Giurisprudenza con il massimo dei voti e tanto di rispettabile specializzazione, LAUREA sudata e pagata di tasca mia molto spesso seguendo i corsi di giorno, lavorando di sera e studiando di notte. Da quasi un anno faccio la praticante avvocato e sto per conseguire un master di II livello....potrei citarvi ulteriori corsi o titoli che vanno a DECORARE il mio curriculum vitae...ma poco importa....poco importa perché se dovessi fare “affidamento” su quel che guadagno grazie ai miei titoli di studio, sarei imbarazzata nel dirvi che non potrei permettermi neppure di offrire un caffè al bar ad un'amica, questo è il motivo per cui “per arrotondare” di sera lavoro in un ristorante.
Forse, secondo tanti, rappresento un TRISTE scorcio di questa società in crisi e così poco attenta ai giovani, rappresento una gioventù FRUSTRATA perché non ha futuro e non ha sicurezze che gli permettono di costruirselo... forse incarno una generazione ABUSATA da ogni ideale, VIOLENTATA e DERUBATA dei suoi promettenti sogni... ma la VERITA' è che non sono né triste e né frustrata, non lo sono perché non ho mai preso le scorciatoie allettanti che il vostro sistema spesso ci propina su un piatto d'argento, non lo sono perché così facendo non mi sono resa SCHIAVA di voi e del vostro sistema, non lo sono perché non sono sola e perché come me so ce ne sono ALTRI.
Io sono solo ARRABBIATA perché VOI volete rubarci la nostra DIGNITA'.
Mi piacerebbe che voi politici, con i vostri titoli finti o acquistati per voi e per i vostri figli, quando alle 19 salgo le scale di casa mia vestita da rispettabile DOTTORESSA per riscenderle alle 19 e30 vestita da altresì rispettabile LAVAPIATTI-PIZZAIOLA, ecco sì …. lo ammetto..mi piacerebbe trovarvi a spazzarmi le scale sulle quali sono appena passata!
Nessuno dei vostri nomi è degno di essere scritto dalla mano di noi italiani questo fine settimana!
Con questo non voglio essere presuntuosa, voglio solo dirvi che la DIGNITA' che vi siete venduti, e della quale avete cercato di rendere ORFANI anche noi come popolo italiano, non è in VENDITA....
Voi no, ma noi come popolo possiamo e dobbiamo trovare la forza di guardarci allo specchio e non vi daremo la soddisfazione di non farlo anche questa volta!!
Cordiali
saluti
Dottoressa-pizzaiola-lavapiatti xxxxxxx
Dottoressa-pizzaiola-lavapiatti xxxxxxx
Vogliamo
scommettere sulla possibilità di far emergere questa
insopportabilità, far saltare quella contraddizione che
storicamente ha visto in generale il welfare, ed in particolare
la borsa di studio, come dispositivo stretto dalla possibilità di
emancipazione per una parte delle classi subalterne, al prezzo però
di una loro integrazione e controllo sistemico. Con la rottura di
questo patto in funzione di un nuovo processo di accumulazione
l'emancipazione resta una chimera, “promettenti sogni”. Rimane la
nuda realtà di un disciplinamento che assume sempre più i caratteri
dell'ingiustizia e dell'oppressione.
Che
sia chiaro, oggi è in primo luogo la controparte che vuole rompere
definitivamente quel patto: le accuse di essere troppo “choosy”,
l'elogio del lavoro “manuale” e la strutturazione di nuovi
dispositivi tecnici e legislativi – come l'apprendistato –
rappresentano la cruda strategia di questa nuova accumulazione che
vuole produrre una nuova merce umana, più disponibile, precaria,
ricattata. Questo impoverimento è lo strumento con cui si vuole
imporre una forzata pacificazione sociale, al prezzo di un conflitto
agito e subito interamente da noi.
Fino
a che punto può reggere, senza venir scosso da un'eccedenza non
più contenibile, un modello di accumulazione basato sulla
valorizzazione dei saperi per mezzo di uno sfruttamento che relega
chi li produce al limite dell'emarginazione sociale? In fondo
l'orizzonte di precarietà definito da questa tensione viene sempre
più assunto come dato scontato, sostituendo tragicamente il mito di
percorsi di studi veicolo di certa ascesa sociale. Studiare sempre di
più, male e indebitati. Per lavorare sempre di più, male, e
sottopagati.
Orizzonte
precario scontato, sì, ma certo non pacifico.
Nel
momento in cui i processi di economizzazione del mondo della
formazione polarizzano il rapporto formativo nel senso di un rapporto
regolato dal valore di scambio tra studenti intesi come utenza e
istituzione accademica intesa come fornitore di un servizio,
dal nostro punto di vista si
tratta di con-ricercare il punto di rottura in cui non può più
esser tollerata l'erogazione di un servizio scadente ma salatissimo.
Partire
adesso da questa considerazione senza semplicemente accontentarsi di
abbandonare il campo o senza cedere a giudizi reazionari sullo
“sgonfiarsi delle bolle del mercato formativo” – come pure pare
accadere nei termini di calo delle immatricolazioni successive alla
svalutazione dei corsi di laurea triennali, simbolo del fallimento
del modello 3+2 – significa
intendere
la questione del sapere come leva dell'organizzazione
dell'insopportabilità definita dalla propria svalorizzazione.
È
necessario spostare l'accento:
non
più difendere l'università o il diritto allo studio come
istituzioni garanti di diritti universali; quanto impedire l'ennesima
espropriazione, difenderci dalla svalutazione della potenza singolare
di ciascuno di noi come soggetti che hanno una dignità e che
“vogliono decidere”.
Resistere
individuando le controparti, iniziando a separare il nostro punto di
vista nella differenza da chi produce crisi, scarsità e
svalorizzazione per conservare e incrementare la ricchezza ai livelli
alti.
Il nesso tra misure di austerity – a partire dal welfare
studentesco - e ricapitalizzazione della finanza con copertura
pubblica sta nella rapina della nostra ricchezza sociale a vantaggio
del sistema del debito.
L'assenza
di una prospettiva emancipativa, a fronte di un aumento di ritmi di
studio e produttività, apre a questa domanda: come,
per cosa e per chi utilizziamo quelle capacità acquisite a duro
prezzo? Come le rivalutiamo?
Questo
significa lavorare per fare emergere quella forte istanza di potere e
di autodeterminazione della propria vita in termini collettivi
iniziando a conricercare resistenze e opposizioni.