Proteste VQR: perché non sia solo una questione di portafoglio
Per
tutto l’autunno si sono susseguite sulle pagine dei giornali le
vicende di alcuni professori associati e ricercatori mobilitati
contro la Valutazione Qualità della Ricerca in vigore dal 2011 dopo
l’approvazione della riforma Gelmini. La valutazione riguarda
professori ordinari e associati, ricercatori e assistenti
universitari, ricercatori e tecnologi degli enti di ricerca vigilati
dal Ministero. In questo meccanismo sono i soggetti valutati che
propongono le pubblicazioni (tre per i professori ed i ricercatori,
sei per i ricercatori degli enti di ricerca) di cui ne vengono scelte
tre.
Il
metodo di valutazione delle VQR coniuga quello bibliometrico
(citazioni del prodotto di ricerca e del fattore d’impatto della
rivista ospitante) con il peer review, ossia la “revisione
paritaria” in cui una commissione esterna esprime delle valutazioni
anonime sui lavori di ricerca proposti. Il dibattito sui costi e
l’attendibilità di questo metodo è tutt’ora in corso.
Dopo
anni di tacita accezione di questi sistemi valutativi, altrimenti
detti meritocratici, in tutti gli atenei della penisola e delle isole
si propone un rifiuto ed un boicottaggio dei VQR.
Oramai
non è questione ideologica affermare che le riforme Gelmini hanno
distrutto le università, è un dato di fatto. La valutazione e la
meritocrazia sono armi utilizzate contro gli studenti ed i professori
che hanno interesse al loro ruolo pedagogico. In una mozione
approvata si legge: “La didattica è stata marginalizzata,
gli incentivi sono stati concentrati sui prodotti della ricerca. Per
chi aspira a “fare carriera” ogni ora trascorsa al servizio degli
studenti appare come un’ora di tempo perso”. Le mozioni
approvate da dipartimenti e/o organi di governo degli atenei si
stanno moltiplicando.
È
sotto gli occhi di tutti che la meritocrazia è stata utilizzata come
cavallo di Troia per indirizzare le risorse verso gli atenei più
rinomati, soprattutto del nord. Ma ora anche questi si ritrovano in
una situazione di degrado che obbliga ad una continua guerra contro i
più deboli atenei. Questa è l’azienda universitaria ed il sistema
del libero mercato applicato al sistema formativo in cui ciò che
importa è far laureare gli studenti il più in fretta possibile,
cercando di recuperare più soldi possibili nonostante i pochi
servizi offerti.
L’
“eccellenza” sta arrivando ad un giro di boa. La retorica
costruita dai governi e propagandata dai sistemi mediatici
scricchiola di fronte alla realtà che ogni studente e professore si
trova davanti.
In
questo sistema l’obiettivo è formare dei giovani alle nozioni
minime necessarie per entrare nel mondo del lavoro evitando ogni
approccio critico alle discipline, al sapere e dunque alla visione
della realtà circostante. In questa direzione vanno le dichiarazioni
del ministro Poletti, della ministra Giannini e del presidente
dell’INPS Boeri. Vogliono una generazione di giovani disposta a
tutto perché senza prospettive e costretta ad un catastrofico
presente.
Sta
a chi vive le università e le scuole l’impegno di informare ed
informarsi, comprendere, sfatare ed iniziare a boicottare in ogni
aula ed in ogni esame la retorica che ci viene imposta.
L’insoddisfazione per un’università che non è come la volevamo
è un dato di fatto e di partenza per la quasi totalità degli
iscritti. Molti di questi probabilmente vorrebbero un presente
diverso, oltreché un futuro. Per costruircelo dobbiamo ripartire dai
bisogni che abbiamo, dalla voglia di riscatto per una vita di
sfruttamento e insoddisfazione che ci stanno preparando.
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