mercoledì 3 giugno 2015

Organizzarsi per non pagare è giusto. A proposito di uno scontro sul diritto allo studio

La vicenda di un gruppo di studenti e studentesse borsisti che, per il secondo anno consecutivo, hanno deciso di dar seguito alla pratica di autoriduzione del canone di affitto per gli ultimi sei mesi di permanenza in casa dello studente da 165 euro a 33 euro, mette in luce alcune tendenze del governo del diritto allo studio nella città di Pisa.

Innanzitutto c'è da rilevare come a un mese dall'inizio della campagna di autoriduzione l'azienda abbia deliberatamente scelto di non prendere in considerazione una precisa domanda: abbassare nel nuovo bando DSU Toscana l'affitto per i borsisti semestrali. Solo una lettera che intimava il pagamento della quota per intero è stata inviata dietro minaccia di sospendere il beneficio e di venire sfrattati dall'alloggio. Appare chiaro come l'insolvenza – il non poter pagare – quando assume un profilo pubblico avanzando una domanda sociale, sia contrastata e ridotta a irregolarità da sanare mediante l'estorsione e il ricatto. Eppure la “prassi” è ben diversa: se ci si inginocchia per andare a elemosinare una rateizzazione del pagamento o il permesso a poter stare qualche mese chiudendo un occhio, la magnanimità del “nostro dsu”, paterno e comprensivo, è ampia. Certo, piccolo particolare, questa concessione risulta possibile a condizione che si accetti una subalternità di fondo, che si resti soli e che questo rapporto sia consegnato al sommerso dell'informalità.


Alla faccia delle retoriche della trasparenza proprie del new public management il tratto dell'informalità resta un altro asse portante delle strategie di governo dell'azienda. Se i livelli locali della dirigenza soffrono di irrimediabile ponziopilatismo davanti alle domande politiche di cui sopra è anche perché, nel suo funzionamento, la filiera del comando che cerca di imporre la solvibilità di chi non può più pagare si guarda bene dal venire allo scoperto. Il presidente dell'azienda Moretti non si fa scrupoli a servirsi della rappresentanza studentesca come tramite delle minacce: “se non pagate revocano il beneficio, elimineranno la figura di borsista semestrale e tutti verranno penalizzati, tale giorno in tale incontro riservato si deciderà di voi ma senza di voi quindi è bene paghiate prima”.

L'università somiglia sempre più a una macchina di svalorizzazione della forza lavoro: 'Bravo ti sei laureato con lode, un big mac e una coca cola grande, grazie!', non è solo un bel meme. Così la lotta per l'inclusione nei tempi e nelle condizioni del percorso formativo (diritto allo studio) diventa semplice intermediazione sulla distruzione delle capacità e delle opportunità individuali se non contrasta l'estrazione diretta di valore che passa per i costi della vita studentesca: tasse, libri e... affitto in casa dello studente! L'investimento sul futuro è la forma più immediata di sfruttamento. Lottare per stare dentro la macchina-università significa quindi non lottare per l'inclusione formale ma lottare per ridurre i costi della vita come condizione per costruire nuovi margini di autonomia e rinnovate possibilità. Questa ricerca di nuovi varchi di accesso può configurarsi solo entro comportamenti collettivi e uno scontro visibile per affermare il diritto a organizzarsi per non pagare. Al contrario, lavorare per non far emergere questo scontro, soffocarlo nel terrorismo dell'informalità promosso anche da una rappresentanza che più che riportare questa istanza al livello politico riporta l'imperativo politico della solvibilità su questa istanza per frammentarla e indebolirla, significa consegnarsi a un governo del diritto allo studio nell'illusione di preservare ancora una qualche prerogativa sul piano dell'interlocuzione per la compatibilità.


Collettivo Universitario Autonomo – Pisa


Queste riflessioni sorgono a partire dal comunicato degli studenti autoriducenti sullo stato attuale della campagna di autoriduzione dell'affitto in casa dello studente che qui di seguito riportiamo per intero.


Perché autoriduzione?

Abbiamo deciso di autoridurci l'affitto che il DSU richiede per rimanere negli alloggi l'ultimo semestre del terzo anno di specialistica (o quarto di triennale) per diversi motivi. Gli studenti a cui viene richiesto l'affitto non hanno “perso” la borsa di studio ma col meccanismo della “borsa semestrale” il DSU impone un canone a chi non anticipa l'uscita ad aprile. Le sessioni di laurea valide per l'Università sono completamente altre da quelle considerate dal diritto allo studio. Secondo le retoriche dell'azienda sino ad aprile siamo “meritevoli” perché per tutta la carriera universitaria abbiamo mantenuto la borsa di studio, dal mese scorso nel bel mezzo della stesura della tesi, abbiamo smesso di esserlo. Questa è un'ennesima dimostrazione di come la retorica della meritocrazia incarni solamente dei dispositivi di disciplinamento ed esclusione.
Inoltre negli ultimi anni il canone mensile è aumentato dai 128€ previsti dal bando 2010/2011 ai 165€ attuali. In cinque anni, sulle 6 mensilità previste dalla borsa semestrale, il DSU ha richiesto 222€ in più a ogni vincitore di borsa semestrale. Il costo dell'alloggio per l'azienda invece diminuisce di anno in anno perché vengono tagliati tutti i servizi ad esso connesso (pulizie, portierato etc). Sono cifre non di poco conto, soprattutto se richieste a giovani studenti e studentesse “privi di mezzi”. La figura solo toscana del “borsista semestrale” rappresenta uno scimmiottamento del diritto allo studio; durante lo stesso anno per un semestre sei uno studente borsista con i servizi connessi, il semestre successivo devi pagare tutti questi servizi senza nessun tipo di agevolazione.
La quota richiesta è più simile a quella di un affittacamere che ad un contributo simbolico al diritto allo studio (peraltro ingiustificato, visto che abbiamo i requisiti per la borsa di studio). L'azienda tiene in considerazione i cambiamenti economico sociali del Paese solo nel momento in cui deve “razionalizzare” i servizi, aumentarne il costo e scaricarli verso il basso (lavoratori e studenti); ne è del tutto incurante quando più di 1500 borsisti ogni anno non si vedano riconosciuto il diritto di avere un alloggio e sono costretti a fare i conti con un mercato degli affitti totalmente sregolato.
La nostra protesta parte da un'impossibilità di pagare questi costi per arrivare a chiedere il cambiamento del bando per gli anni prossimi: il canone d'affitto dev’essere annullato o al massimo diventare una quota simbolica.


Qual è stata la risposta?

L'8 maggio abbiamo consegnato il primo bollettino autoridotto. La responsabile e la dirigente regionale delle residenze hanno risposto venti giorni dopo con una lettera raccomandata in cui minacciavano la revoca del beneficio se non avessimo corrisposto il resto dell'affitto entro due giorni. Siamo riusciti ad ottenere un incontro politico per discutere della questione e della modificazione del bando per gli anni prossimi. L'incontro si è tenuto mercoledì 27 maggio, le dirigenti non hanno mostrato nessuna volontà di dialogare con la Regione per modificare la figura del “borsista semestrale” (benché sia nelle facoltà dell'azienda) e non hanno dato risposte precise sulla minaccia del provvedimento di revoca del beneficio.
Due giorni dopo l'incontro, per vie ufficiose i dirigenti ci fanno arrivare nuove minacce: se non accettano la rateizzazione del pagamento revochiamo il beneficio.

Noi siamo stanchi delle vie subdole che l'azienda adotta per spaventarci. Abbiamo richiesto e aperto un'interlocuzione politica su delle problematiche reali e vive tra gli studenti e non accettiamo nessun tipo di intimorimento subdolo e veicolato per via di terzi. Se i dirigenti hanno preso una decisione ce la dicano chiaramente. Sappiamo che se non avessimo posto la questione in maniera pubblica, chiedendo la modifica del bando, la dirigenza probabilmente avrebbe chiuso un occhio. È questo il comportamento quando studenti in difficoltà chiedono individualmente degli aiuti extra bando, perché il diritto allo studio fa acqua da tutte le parti. L'azienda mantiene sotto scacco gli studenti impostando un rapporto personale di cessione dei benefici a patto che tutto si faccia “a umma umma” senza affrontare pubblicamente i problemi.

Abbiamo chiesto ufficialmente di considerare la condizione critica di quegli studenti che vanno incontro a ritardi (non previsti) nella conclusione della tesi e non hanno alcuna possibilità di lasciare l’alloggio.
Il modo in cui la dirigenza intende trattare la questione dev’essere comunicato a tutti gli interessati, non riferito ad alcuni di essi per via telefonica.
Se è il problema è stato discusso, l’esito di questo dialogo dev’essere chiaro, prima di una risposta.
Altrimenti non è possibile parlare di dialogo e l’azienda si assume la responsabilità di un comportamento ben lontano dal suo ruolo di sostegno agli studenti.




Gli studenti autoriducenti

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