mercoledì 16 marzo 2011

GAME OVER! Sulla fine di Uniriot

Il percorso di Uniriot è giunto al capolinea ma, tolte le realtà da sempre coinvolte nel percorso, quasi nessuno se n'è accorto. Molti militanti, attivisti e studenti che in questi anni hanno fatto vivere questa rete, verificandone idee e valenze tradotte in carne e ossa nella pratica quotidiana dentro e fuori le mura dell'università in macerie, non ne hanno avuto percezione né sono stati interpellati. La "rottura" è stata consumata sopra le loro teste - dall'alto - e chi l'ha agita pretenderebbe pure di non darne pubblica spiegazione.
Come compagn* del(l'ormai ex) nodo torinese di Uniriot, presenti e attivi fin dai primi momenti costituenti della rete, crediamo invece sia necessario dare pubblica lettura dei passaggi che hanno portato ad una rottura non dichiarata ma effettiva, esplicitandone i nodi politici di fondo, irrisolti e per qualcuno comodamente rimossi. Da parte nostra riteniamo invece più utile rendere trasparenti i termini della contesa.

Precisazioni dovute: a noi stessi, a tutti quelli che in questi anni hanno fatto vivere la rete, a tutte quelle altre realtà, collettivi e singoli studenti con cui ci siamo confrontati in questi anni di importanti mobilitazioni, dalla fine del ciclo No-Moratti alla stagione dell'Onda fino all'esplosione soggettiva dell'autunno appena passato. 
I FATTI: Con una prima mail, a firma Anomalia Sapienza-Uniriot Roma e datata Gennaio 2011, veniva comunicato ai vari nodi territoriali che, in totale assenza di dibattito, la fase di progettualità era già data (questione referendum, rapporto con Uds-Link, rapporto/fusione con Uniti contro la crisi, costruzione di un meeting euro-mediterraneo a Roma, ecc.). Si fa palese in questa missiva la volontà di stringere e liquidare temi importanti (a quanto pare pressati dalla necessità di produrre una sintesi velleitaria, quanto inutile, in vista dell'appuntamento di Marghera), quali l'analisi dell'autunno e delle scadenze di mobilitazione, come il 14 dicembre, il ruolo avuto all'interno del movimento della rete a progetto Uniriot, della soggettività, della sua composizione, dei limiti e dei punti di forza espressi, nonché della progettualità in divenire, da costruire collettivamente.

A questa mail rispondemmo con un nostro punto di vista (vedi in calce al documento sopraccitato), cercando un incontro che mai avvenne.

Il giorno 4 marzo viene postata in lista una seconda mail dal titolo "Lettera z...punto di non ritorno", in cui si comunica che alcune realtà di Uniriot hanno deciso di porre fine alla rete a progetto, dichiarando che il "ciclo soggettivo di Uniriot si sta chiudendo" e che da quel momento il portale di riferimento veniva gestito, nella fase detta "di transizione", esclusivamente dai romani. Compagni che per anni hanno lavorato all'implementazione del sito si sono trovati l'accesso sbarrato e la mailing-list non più utilizzabile. I post-moderni cantori delle virtù della "democrazia" e delle "differenze" riscoprono all'improvviso il buon uso del "centralismo democratico".

Ora, pur tenuto conto che consideriamo sbagliato il metodo, quello unilaterale ed epistolare, con cui si è voluto porre fine all'esperienza della rete a progetto Uniriot, come compagn* di Torino pensiamo sia opportuno fare chiarezza su alcune questioni.

Uniriot, Uniti contro la crisi e i rapporti con Uds-Link-Cgil.

Come già esplicitavamo in un precedente documento, crediamo non si possano sovrapporre e sciogliere il piano di Uniriot con quello di Uniti contro la crisi. Due ambiti differenti: una rete a progetto, con il suo baricentro sul nodo della formazione, non può limitarsi a sciogliersi in un contenitore più ampio, uno spazio politico di coordinamento che non ha la pretesa di sintetizzare un soggetto politico unico. Non ci risulta, da parte di Uniti contro la crisi, alcuna volontà di proporre piattaforme da sottoscrivere, modus operandi territoriali univoci, modello relazionale prestabilito tra organizzazioni, né tantomeno una caratterizzazione su percorsi e pratiche d'intervento politico predefinite. Per quanto ci riguarda non ci sottraiamo aprioristicamente al dibattito politico e alla dialettica di punti di vista anche quando questi non sono omogenei. Così come c'eravamo all’assemblea del 17 ottobre, ben presenti in piazza il 14 dicembre, cosi seguiremo le iniziative del prossimo 25 marzo a Roma.


Ancora differente la relazione, a nostro parere eccessivamente ambigua, tra i nodi territoriali di Uniriot e altre strutture parasindacali nazionali quali Link e Uds.

Credevamo implicita nella rete Uniriot, la scelta di una progettualità propria in merito ai rapporti con altre strutture, dando per scontato che l'orizzonte ricompositivo, laddove ce ne siano le possibilità, appartiene a tutti. Non si può tollerare che l'esigenza tattica di una singola realtà o l'assenza di discussione nella rete, diventino programma politico per tutti. Siamo convinti che la rete Uniriot condivida gli stessi obiettivi di Link?

Aldilà delle buone intenzioni, delle convergenze tattiche, della volontà di non frazionarsi, è sul reale che si misura la capacità ricompositiva di un movimento.

Qual è la pratica dell'obiettivo comune con Uds-Link? Davvero crediamo che la convergenza si possa trovare sulla difesa della scuola e dell'università pubblica, se non addirittura della costituzione? Quale ruolo avrebbe giocato Uniriot in questa dialettica e che rapporti di forza ha messo in campo per la pratica dell'obiettivo?

Ecco, questa è la questione. L'empasse di Uniriot, a noi sembra dovuta, più che a una stretta identitaria, alla mancata espressione di punti di vista, lettura di tendenza, capacità di posizionamento, che sono sempre stati i punti di forza della rete. Fortunatamente, eccedenza sociale e capacità soggettive hanno spostato l'asticella dell'orizzonte politico del movimento tutto, a dimostrazione di quanto sia importante non piegarsi a tatticismi esasperati e rinunciare volentieri al desiderio di gestire al ribasso.

Quali sono dunque le comunanze di vedute, ad es., sulla giornata del 14 dicembre, con Uds-Link?

Per quel che ci riguarda, da noi è stato il punto di non ritorno nei rapporti con loro...come prevedibile non solo non hanno rivendicato ma hanno voluto spaccare il movimento e rendere pubblico il tutto, con la ridicola premessa di non voler fare i distinguo tra buoni e cattivi.
Sul 14 dicembre e oltre: "Napolitano è vivo... e lotta insieme a noi!"
 
Sappiamo bene che le ragioni effettive che differenziano il nostro agire dai firmatari del documento sopraccitato sono profonde. La vulgata odierna sembra scoprirle tutte all'improvviso e le vuole concentrare sulla diatriba interpretativa della settimana corta 14-22 dicembre. Una lettura riduzionistica su cui vale la pena misurarsi, cartina di tornasole di ben altre divergenze. Il 14 dicembre in piazza c'eravamo tutti. Nonostante i dissidi iniziali nei giorni immediatamente successivi impazzava la gara a chi la sparava più grossa nel rivendicare la barricata e lo scontro.

La sortita provvidenziale del signor Saviano permetteva finalmente di fare chiarezza sulle istanze del movimento e le pratiche che di volte in volta decideva di utilizzare, come assunzione collettiva di responsabilità. Chi si pensava profeta della nuova generazione, restava colpito dall'effetto-boomerang di un giudizio troppo affrettato. scoprendo un soggetto collettivo e plurale, capace di sfumature ma soprattutto determinato nel parlare per sé senza filtri o nuovi vati.

Il 22 dicembre una manifestazione bloccava la capitale, occupando la tangenziale a decine di migliaia mentre una piccola delegazione veniva ricevuta dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La decisione, ci viene detto, è stata presa in assemblea. Non abbiamo modo di dubitarne. Il problema, ribadiamo, non sta nell'aver scelto d'incontrare il Presidente (scelta che resterà perlomeno criticabile) quanto nell'aver pubblicamente lodato il comportamento di Napolitano quale interlocutore privilegiato degli studenti, buon padre comprensibile delle ansie che travagliano le nuove generazioni. Un paternalismo di cui davvero non si sentiva il bisogno. Il 14 dicembre, ci sembra, abbiamo saputo mostrare qualcosa di un po’ più forte dell'ansia. L’imbarazzo stava per noi nel leggere le dichiarazioni di un supposto portavoce di Uniriot. Chi l’aveva nominato tale? Ribadiamo: una rete che parla di "rivolte", "conflitto", “riappropriazione” non ci sembra possa ridursi a cantar le lodi del Presidente della Repubblica. Forse qualche domandina merita di essere posta... o No? A quanto pare no, pena l'essere tacciati da "identitari" o "nostalgici del Novecento".
 
Uniriot per noi: dal Block G8 di Torino al 14 dicembre romano
 

Avendo fatto parte dell'esperienza di Uniriot fin dai suoi iniziali momenti costitutivi, abbiamo anche noi una storia da raccontare. E' quella dei suoi momenti alti, in cui la rete è riuscita davvero a funzionare come spazio di confronto, produzione di senso e organizzazione del conflitto. Se tutta la prima fase della rete (2006-2008) è servita come momento di incubazione e ipotesi, con l'emergere del movimento dell'Onda si era riusciti a porsi come principale riferimento organizzativo, tanto a livello nazionale quanto capillarmente dentro gli atenei. Nello slogan "Noi la crisi non la paghiamo!" veniva sintetizzato il punto più alto di quella soggettività, lanciando un segnale di anticipazione che veniva ripreso ad ogni latitudine d'Europa e delle Americhe.

Solo pochi mesi dopo (maggio 2009), durante la risacca dell'Onda, fummo in grado di organizzare una 3 giorni di dibattiti e mobilitazione a Torino che arrivò a portare in piazza 10.000 persone contro il G8 dei rettori. La determinazione e la radicalità di quella giornata (19 maggio) fecero paura a molti tanto che fu necessaria un'operazione congiunta a livello nazionale con 21 arresti per intimidire quella soggettività e quella particolare composizione politica dell'Onda. Gli eventi successivi dimostrano solo il loro fallimento: quegli studenti e quei compagn* sono stati tutti presenti nelle lotte dell'ultimo anno.

Ci chiediamo: è una svista il non voler ricordare un momento così importante della nostra storia condivisa? O c'è forse una volontà forte di rimozione? Stupisce che quell'esperienza venga tanto facilmente dimenticata. Vorremmo ricordare che in quel maggio di due anni fa riuscimmo a mettere insieme: iniziative di piazza diffusa (presidi e flash-mob), dibattiti con ospiti internazionali su saperi e formazione, un'assemblea europea dei movimenti universitari ed una straordinaria giornata di lotta in cui dimostrammo di non accettare divieti imposti dall'alto.

Ci sembra significativo che nelle ricostruzioni ex-post tanto in voga oggi non si faccia alcun cenno a quel passaggio, per noi così fondamentale. Fatichiamo a non vederci altro che un inutile esercizio di esorcismo politico. Anche perché, se i fatti non ci tradiscono, sono quella forza, quelle pratiche e quella determinazione ad essere esplose a livello di massa nel 14 dicembre romano appena passato.
 
Il peso delle parole e l'estremismo della tattica

Il tono dei documenti e delle produzioni Uniriot è sempre stato assertivo e declamatorio. La tendenza, già sempre totalmente realizzata, i "nuovi soggetti" sempre positivi, l'innovazione sempre rovesciabile nel suo contrario. C'era in questo un lato positivo: una proposta forte e il tentativo di spingere più avanti i limiti angusti di un panorama non sempre all'altezza delle nostre aspettative, la declinazione odierna del metodo operaista. Di quella lezione andava però maggiormente valorizzata - quanto ce ne accorgiamo oggi! - anche l'attenzione per le ambivalenze, una maggiore attenzione ai processi oltre che ai soggetti, la produzione della soggettività come campo di battaglia mai risolto, in tensione perenne.


Il limiti di un approccio tanto unilaterale lo ritroviamo oggi nelle svolte repentine che attraversano la progettualità di chi pretende di continuare la rete Uniriot senza alcun confronto con le altre realtà che l'hanno composta.

Per anni la rete Uniriot ha puntato su alcuni concetti forti, spesso assunti unilateralmente come sintesi politica. Un esempio tipico è la categoria di "capitalismo cognitivo" in cui si riassumeva il ventaglio frastagliato delle differenti forme di attività lavorativa erogate oggi da una forza-lavoro massicciamente intellettuale, affettiva, relazionale.

Di questo frame interpretativo non siamo mai stati i partigiani più accaniti. Lo assumevamo problematicamente come terreno di confronto, stimolante e produttivo dentro la riflessione aperta della rete. Conflitto, autoriforma, autoformazione così come "bene comune" non sono termini neutri, hanno un'ambivalenza intrinseca. Se da un lato molto spesso vengono usati in maniera ideologica e vengono sbandierati come semplici slogan da assemblea, essi hanno sempre rappresentato anche un tentativo di programma d'azione condiviso, in una positiva e costante ricerca di sintesi tra radicalità e consenso.

Questo patrimonio sembra oggi svanire per esigenze di mero tatticismo. L’uso di parte sparisce. Dal "né pubblico né privato" si passa alla "difesa dell'università pubblica; Fiom e Flc diventano riferimenti di primo piano mentre il discorso politico complessivo viene perimetrato dalle battaglie in difesa della "Democrazia" e della Costituzione!

Forse parlare di coerenza può sembrare troppo "novecentesco" ma un minimo di consequenzialità e una progettualità meno schizofrenica non farebbe poi così male. Buttare a mare percorsi tanto ricchi, pur nelle dovute differenze e la dialettica anche dura che ci ha accompagnati fino ad oggi, ci sembra una scelta tanto sbrigativa quanto miope. Intravediamo passetti e ipotesi già bruciate da precedenti esperienze. Spesso, dietro l’ansia del nuovo, si ripropone l’eterno ritorno del sempre uguale. Cosa ancor più grave, non sembra si vogliano imparare le dure lezioni della storia.

"Grande la confusione sotto il cielo, la situazione è dunque eccellente!"

Chiarite le posizioni, non resta che prendere atto della fine di questo ciclo soggettivo di movimento, finché è durato, importante e capace di indirizzare il corso degli eventi. Non stiamo a leccarci le ferite né a rimuginare sul latte versato. Come dice il vecchio adagio, quel che è stato è stato. Guardiamo avanti. Nuovi percorsi iniziano a delinearsi, ipotesi e progetti che cercano di fare proprio quello spazio europeo del conflitto tante volte individuato nelle analisi di Uniriot come sbocco necessario. Oltre gli angusti spazi nazionali, verso l'Europa e quel Mediterraneo che ci sta parlando di nuova composizione di classe, alta scolarizzazione che si batte contro l’assenza di futuro, rabbia generazionale e rivolta sociale, autorganizzazione e conflitto aspro tra altezza dei bisogni e miseria del presente.


Su questo orizzonte vogliamo misurarci, pronti a tornare nelle nostre facoltà in questa nuova primavera di lotte.

(Ex) Uniriot-Torino
collettivo universitario autonomo (Torino)

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