mercoledì 23 febbraio 2011

Pisa a fianco della rivolta libica

È rimbalzata da una pagina facebook all’altra,  alimentata da mail e telefonate, la convocazione spontanea del presidio che si è svolto oggi a Pisa in solidarietà con la lotta del popolo libico, contro il massacro portato avanti dagli sgherri di Gheddafi.  Circa 200 persone si sono quindi radunate in piazza di fronte al Comune con striscioni, materiale informativo e volantini.  

Tangibile la tensione verso gli avvenimenti di questi giorni e l’ansia dei numerosi compagni provenienti dai paesi nordafricani che hanno potuto fornire le informazioni più attendibili nonché le immagini e le foto più raccapriccianti a prova del livello di repressione in atto in questo momento in Libia.

E proprio durante lo svolgimento del presidio, in mezzo alla testimonianza di un compagno libico che da giorni non riesce a mettersi in contatto con la famiglia e gli amici, è giunta la notizia del discorso televisivo del Colonnello. 
A fronte di un numero di morti esorbitante, un vero e proprio genocidio, Gheddafi ha nuovamente ammonito i manifestanti a interrompere la loro rivolta, definendoli drogati e ratti di fogna, minacciando di rastrellare casa per casa e giurando di stroncare la lotta a costo di mettere a ferro e fuoco l’intero paese.
Alimentato da una nuova ondata di collera il presidio si è tramutato in un corteo non autorizzato e si è mosso per le strade cittadine scandendo slogan contro Gheddafi e il suo complice Berlusconi, fino a giungere di fronte al palazzo della Prefettura. Lì una serie di interventi ha nuovamente ribadito il più completo appoggio ai moti rivoluzionari e la necessità di portare avanti un livello di informazione e mobilitazione anche nei nostri territori; la manifestazione si è quindi sciolta dandosi un appuntamento per programmare ulteriori iniziative.



Di seguito il volantino distribuito:


Fermiamo il massacro del popolo libico
Piena solidarietà ai ribelli

Nelle ultime ore il movimento rivoluzionario che si sta muovendo in Libia si è scontrato con un livello di repressione altissimo messo in atto dai fedelissimi del dittatore Gheddafi e dalle milizie mercenarie di cui si è circondato. Fonti attendibili parlano di quasi 1000 morti dall’inizio della rivolta, un vero e proprio genocidio, perpetuato utilizzando aerei militari per bombardare e attaccare gli assembramenti di manifestanti.

Questa crudissima risposta rappresenta l’ultimo rantolo del Colonnello a capo del paese quarto esportatore la mondo di petrolio, messo in crisi da un movimento di massa che in pochi giorni è stato capace di conquistare le principali città, dando l’assalto ai luoghi simbolo del regime. Ad ora anche alcuni vertici militari e ambasciatori libici in vari paesi stanno disertando in risposta all'escalation di violenza che sta vivendo il paese.

Dal canto suo la classe politica italiana, premier in primis, sta mostrando un evidente imbarazzo nell'intervenire sulla questione, trattandosi la Libia di un partner importante dal punto di vista economico (la Libia possiede oltre il 6% di Unicredit, l’Eni ha in cantiere investimenti multimiliardari nel paese, il colosso italiano dell’industria bellica Finmeccanica ha firmato una commessa riguardo alla protezione dei confini libici…) e della gestione dei flussi migratori. Senza contare che la famiglia Gheddafi vanta diverse relazioni economiche con lo stesso Berlusconi e il gruppo Fininvest.

La fantastica stagione rivoluzionaria nordafricana che sta sconvolgendo la Libia, dopo aver attraversato la Tunisia e l’Egitto, non accenna a fermarsi; la capacità conflittuale e comunicativa di questi movimenti sta ribaltando rapporti di forza internazionali, mettendo in crisi il sistema culturale e informativo occidentale, non più capace di rinchiuderli nelle categorie del terrorismo e del fondamentalismo islamico.

I popoli arabi in rivolta ci stanno insegnando che il tempo delle parole è finito; non c’è ipotesi di compatibilità che regga con i ceti politici che hanno creato questa crisi e continuano a cercare di sfruttarla a loro vantaggio.

QUE SE VAYAN TODOS!