martedì 17 dicembre 2013

Studenti conquistano la mostra di Warhol

"Le masse vogliono apparire anticonformiste:
ciò significa che l'anticonformismo deve essere prodotto per le masse."
A. Warhol

Questo pomeriggio a Pisa una cinquantina tra studenti universitari e del liceo artistico, si sono presentati davanti al Palazzo Blu, in cui è esposta la mostra "Andy Warhol. Una storia americana", quinto appuntamento del ciclo di mostre dedicate ai maestri del '900. Questa struttura ospita la gran parte delle mostre che arrivano in città ed è oggetto di vanto culturale da parte del comune, che ne fa attrazione di richiamo per il turismo cittadino.
La legittima pretesa era di poter vedere la mostra ad un prezzo accessibile per le tasche di uno studente, già vessato da un'enormità di altre spese per potersi mantenere in città e continuare gli studi. Il contributo proposto era di 2 euro (mentre il prezzo "agevolato" per gli studenti era fissato a 8,50 euro, rispetto ai 10 del biglietto intero), una somma già eccessiva se confrontata ai prezzi normali degli ingressi alle mostre nelle altre città europee. Questa cifra è sembrata inammissibile per i dirigenti della mostra.
Alle richieste dei ragazzi le reazioni sono state un no secco, la chiusura delle porte e il blocco fisico di ogni ingresso. Il dialogo è stato lungo e argomentato, ma le ragioni non sono state ascoltate, cosicché all'ennesimo rifiuto gli aspiranti visitatori hanno preso l'iniziativa decidendo di entrare, nonostante la frapposizione delle guardie del museo. Conquistato l'ingresso gli studenti si sono goduti tranquillamente l'esposizione delle principali opere del Maestro americano, tra Marilyn e Mao passando per la Campbell's Soup.
Già questa mattina alcune classi del liceo artistico, oggi entrato in co-gestione, si erano recate in visita al Palazzo. Non tutti gli studenti avevano la somma necessaria per l'acquisto del biglietto, quindi i professori hanno messo di tasca loro una parte della quota mancante, non riuscendo però a farli entrare tutti: oggi pomeriggio quegli studenti sono potuti entrare.
Il comune e l'università di Pisa propongono un'immagine dorata della vita in città tra vetrine colorate, scalate nel ranking universitario internazionale e candidature a capitale europea della cultura. Al contrario la realtà parla di periferie abbandonate a loro stesse, scuole che crollano, didattica e servizi praticamente inesistenti.
Ci siamo definitivamente stancati di una cultura-merce, che oltretutto è inaccessibile ai più. L'azione di oggi è solo una tappa di un percorso molto più ampio che è iniziato sabato 14 dicembre, con l'incursione in un supermercato da parte di precari e disoccupati dei quartieri popolari, e che continuerà con la mobilitazione studentesca e del precariato giovanile lanciata per il 20 dicembre. È ormai chiaro che anche la cultura, come la casa, il pane e la dignità, è un diritto che si conquista a spinta.
Vogliamo tutto, il pane e anche le rose!

venerdì 13 dicembre 2013

Sui forconi: arroganza di classe nel movimento?


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Contributi pisani al dibattito di movimento sul 9D e i cosiddetti “forconi” o qualcosa di più.

Un dibattito intenso si è sviluppato negli ultimi giorni nella città di Pisa. In un territorio poco scosso (per ora?) dai sommovimenti prodotti dal magma sociale dei cosiddetti “forconi”. Questo fenomeno, anche se visto da lontano, scuote e impaurisce molti e porta a interrogarsi fino in fondo ancora troppo pochi. A prender parola pubblicamente è quasi sempre chi pratica movimento in questa città... o crede di farlo. Si tratta per lo più di prese di posizione di singoli attivisti sui social network, all'oggi ormai compiutamente terreno di posizionamento politico oltre che di viralizzazione delle mobilitazioni sociali, come anche l'eruzione del 9D testimonia.

Narrazioni mainstream e condanne di valore
Sugli schemi di ragionamento che reggono questi “stati” e “post” degli attivisti, ci interessa comunque fissare una critica dell'ideologia degli interpreti di professione che affollano la giungla di movimento pisana. È questo un primo passo per porre un problema di metodo tutto politico: davanti alla complessità dei fenomeni sociali, alla loro eccedenza non pacificamente riconducibile agli schemi interpretativi dei nostri piccoli universi soggettivi di militanti politici, è la realtà a non quadrare o siamo noi a essere troppo distanti dai movimenti reali del corpo sociale? Ripartiamo da queste domande allora.

Troppe volte però in questi giorni abbiamo letto nei confronti di ciò che rumoreggia e disturbasotto la finestra di casa le sentenze di “insopportabilità”, “fascismo”, “populismo”. Si son susseguiti i triti lamenti per il provincialismo italiano, la “Repubblica delle banane” (meglio camerieri a Londra o gelatai in Germania, nelle democrazie dello sfruttamento a 3 euro l'ora?), oppure i cattedratici inviti a “tornare a vedere la de Filippi” come repellenti conati di anti-berlusconismo (sì, in piazza c'è in parte lo stesso blocco sociale che ha votato Berlusconi, la Lega e Grillo nell'ultimo ventennio, popolare e proletario nelle sue espressioni di massa). Sarà forse che si annida in queste parole un'arroganza tutta di classe? Non è poi molto lungo il passo da colmare per passare dalla distanza dal corpo sociale alla nemicità e alla contrapposizione rispetto a questo stesso corpo sociale.

martedì 10 dicembre 2013

UniverCity Uprising: per un laboratorio delle lotte in università

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Si è da poco conclusa la tre giorni "UniverCity Uprising: per un laboratorio delle lotte in università" che si è svolta il 4-5-6 Dicembre all'interno dell'Università La Sapienza. Un momento importante che si è ben inserito nel percorso delle lotte che in quest'anno si sono date.

"Quale intervento politico oggi all' Università?" questa è la domanda centrale attorno alla quale abbiamo voluto interrogarci, intorno alla quale abbiamo proposto vari ed articolati momenti di discussione. Abbiamo voluto mettere al centro del dibattito una domanda piuttosto che parziali risposte, proprio perché siamo consapevoli che soltanto attraverso la sperimentazione e la condivisione del bagaglio esperienziale che le varie realtà territoriali hanno portato si può provare insieme a suggerire una prospettiva, a dare un'indicazione. Molti collettivi delle università italiane si sono confrontati dunque con l'intento di sviluppare insieme degli strumenti utili nel proseguire il percorso che quotidianamente portiamo avanti.
L'università attuale, assume ormai definitivamente la veste di fabbrica della conoscenza, nella quale viene trasmesso un sapere neutralizzato ma di fatto finalizzato alla riproduzione sistematica di categorie d'analisi e di apparati materiali sussunti dal capitale per la riproduzione dello sfruttamento; gli studenti si trovano inseriti in una tendenza disaggregante che parte dalla stessa archituttura degli atenei e si determina nella dismissione di spazi di socializzazione a vantaggio di un sempre più articolato controllo su tempi e modalità di interazione. La sfida perciò ci sembra quella di stare all'interno dell'università individuando l'istituzione stessa come diretta controparte, allo stesso tempo ci sembra necessario provare ad uscire da un'ottica prettamente studentista e provare ad intercettare tutti quei soggetti che pur avendo rinunciato alla formazione universitaria, si muovo all'interno del più generale contesto metropolitano riconoscendosi in pratiche di lotta che parlano di liberazione e riappropriazione.
Ci è sembrato importante approfondire la discussione dividendola in tre workshop tematici che potessero analizzare più dettagliatamente i diversi nodi in cui si articola il nostro agire antagonista all'interno del dispositivo università.
Il primo workshop "inchiesta e saperi" ha cercato di ragionare attorno al significato di fare conricerca oggi negli atenei e a come questa specifica metodologia d'indagine possa essere usata strumentalmente per comprendere sia le dinamiche di potere che si strutturano all'interno dell'industria della conoscenza, sia le tendenze da sfruttare per provare a scardinarle, utilizzando come arma la spinta soggettivante che proviene dalla materialità delle esperienze di lotta. Il sapere che viene impartito nelle aule è un mezzo attraverso cui creare soggetti addomesticati al controllo e pienamente asserviti a precarizzazione e individualizzazione, oltre che l'elemento determinante per la riproduzione delle tecniche attraverso cui si dispiega lo sfruttamento e noi siamo obbligati a disarticolarlo, costruendo realmente l'università che vogliamo partendo dall'elaborazione e riproduzione di contro-saperi, mettendo in atto pratiche di contro-potere riproducibili e determinanti per l'emergere di una soggettività in lotta interna al settore giovanile.